Ciauscolo e mortadella, le carni straniere nel mercato italiano

di ELIA FOLCO

URBINO – Il mercato della carne di maiale è ormai regolato dalla legge della produzione in serie per soddisfare il fabbisogno mondiale di cibo, e stabilimenti di piccola o media grandezza non possono pensare di essere competitivi. In Italia, soprattutto, dove piccoli allevatori e produttori sono la regola. Neanche una realtà come quella di Carpegna, che comunque produce un prosciutto Dop (denominazione di origine protetta), può imporsi sui mercati.

L’analisi di Piera Campanella, professoressa di diritto del lavoro all’Università degli studi di Urbino, porta alla luce diversi problemi nel settore delle carni suine. La docente coordina da un anno il progetto Meat-up Ffire, che studia il settore della produzione e della lavorazione della carne di maiale in Europa, alla luce delle dinamiche competitive. “La scelta della carne di maiale dipende dal grande consumo che se ne fa e dal fatto che si presentano condizioni di lavoro di grande difficoltà in questo settore” spiega la Campanella.

Lo studio ha mostrato che i mercati dell’Ue sono dominati dai Paesi del nord, come Germania e Danimarca, forti delle loro grandi industrie e dell’avanguardia tecnologica. “Il colosso tedesco è il migliore, grazie alle esportazioni che raggiungono anche la Cina e alla scelta di affidare la lavorazione delle carni a compagnie polacche, meno costose. La Danimarca invece è una realtà che ha iniziato a emergere negli ultimi anni, e si sta affermando sempre più.” dice la professoressa, che include tra i Paesi virtuosi anche Polonia e Belgio.

Nell’Europa meridionale l’unico caso significativo è rappresentato dalla Spagna, che non è al livello delle altre grandi realtà, ma ha avviato negli ultimi anni una politica di esportazione di successo.

Dop e Igp, la differenza è nell’origine

E l’Italia? Solo una zona riesce a essere competitiva nel panorama europeo, ed è quella dell’Emilia Romagna, che si estende fino alle province più a sud di Lombardia e Veneto. Gli unici prodotti in grado di imporsi sui mercati sono quelli Dop (come il Prosciutto di Parma e il San Daniele) che comprendono il 55% della produzione italiana; il restante 45% sono invece alimenti che, non essendo Dop, vengono preparati usando anche carni suine straniere. Ma anche il prosciutto Carpegna, pur essendo un Dop, rimane una produzione più di nicchia e comunque di bassi volumi, E per questo a rischio.

L’Italia infatti tende a importare carni di maiale, per poi lavorarle ed esportare i prodotti finiti. Questo potrebbe danneggiare anche un prodotto come il ciauscolo, tipico insaccato marchigiano, prodotto Igp (indicazione geografica protetta): questo significa che deve essere prodotto nella sua zona di origine, ma può essere fatto anche con carni straniere. Discorso che vale anche per la mortadella, altro Igp.

Per non soccombere alle leggi del mercato, non potendo competere sul piano tecnologico, deve ridurre al minimo i costi di manodopera della carne, e per fare ciò si affidano a cooperative, in cui le condizioni lavorative sono a volte illegali. Dalla ricerca, per esempio, emerge come si siano registrati casi di pagamenti in nero, con impiegati spesso privi di assistenza sanitaria o costretti a turni troppo lunghi, come mostrano i risultati delle ricerche fatte.

La situazione è delicata, e sempre più a vantaggio dei grandi produttori, mentre gli altri sono destinati a scomparire, tranne quelli che resistono grazie ai prodotti Dop.

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