di FEDERICO SOZIO
URBINO – La scrittrice Lia Levi, nata a Pisa nel 1931 da una famiglia piemontese di origine ebraica, ha vissuto da bambina le persecuzioni razziali. Esordiente nella letteratura nel 1994 ha raccontato in “Una bambina e basta” la sua vicenda di ebrea costretta a lasciare la scuola pubblica in giovanissima età per trovare poi rifugio in un convento di suore per sfuggire ai tedeschi.
In un incontro con gli studenti del liceo scientifico Laurana-Baldi al Teatro Sanzio di Urbino Lia Levi ha parlato dei suoi libri “Questa sera è già domani” e “Una bambina e basta” con spunti di riflessione sul tema della Shoah. “Questi libri ti lasciano sensazioni di paura e di coraggio che erano proprie delle persone che hanno vissuto realmente questo contesto storico e hanno trovato la forza di reagire e andare avanti”, spiega Lucia, una ragazza presente all’evento.
“La paura e la disillusione di perdere la fiducia nell’essere umano o in ciò che ti dicono i tuoi genitori è quello che ho vissuto – racconta Lia Levi – ma la mia famiglia, in senso stretto, si è salvata dalla deportazione. Siamo stati vittime dell’indifferenza, quel non rendersi conto del problema, o nella seconda fase rendersi conto del problema ma restare in silenzio. Ho vissuto la Shoah con gli occhi ottimisti di una bambina.”
Nel corso dell’evento la giornalista e scrittrice piemontese ha risposto alle domande degli studenti: “Ricordo che giocavo con le mie amiche di scuola ma molte sono state deportate e dopo la guerra non sono più tornate. Io avevo 11 anni e con mia sorella non riuscivamo a capire perché i miei genitori fossero così preoccupati da portarci in un convento”, ha spiegato la scrittrice.
“Il ricordo e la memoria sono due cose diverse. Ricordare è un modo semplice per rivivere un avvenimento recente, la memoria è la rielaborazione del ricordo, si può trarre qualcosa di universale ed eterno come l’amore, l’odio, la solidarietà che sono dei valori che nutrono il nostro presente”, ha concluso la Levi.