di MARIA LETIZIA CAMPARSI, FRANCESCO COFANO, MARCO FERRARI E ALICE POSSIDENTE
URBINO – Una persona capace di ascoltare e dialogare. È così che (quasi) tutti descrivono Mario Rosati, candidato a sindaco di Urbino sostenuto dal Partito democratico e dalle liste civiche Cut liberi tutti e Urbino al centro ma originario di Cantiano, al confine tra le Marche e l’Umbria. Qui Rosati è cresciuto trascorrendo un’infanzia che lui stesso definisce “ruspante”, tra natura e strada. “Erano indimenticabili i pomeriggi trascorsi al fiume a catturare i pesci a mani nude”, ricorda. Il padre faceva il falegname, la madre gestiva un negozio alimentare. Entrambi si misero a studiare in tarda età: la madre per poter aprire l’attività, il padre per prendere la licenza media. Da adolescente Rosati iniziò a lavorare dando una mano nella bottega paterna. Ma il primo vero impiego lo trovò in una cooperativa che gestisce il maneggio di Chiaserna, una frazione di Cantiano. Un solo mese in cui da ultimo arrivato raccoglieva gli escrementi dei cavalli. L’amore per la natura è cresciuto in questo periodo: per parecchie estati si dedicò al rimboschimento in collaborazione col Corpo forestale.
“Da ragazze eravamo tutte innamorate di Mario. Aveva i capelli lunghi, parlava bene e amava la lettura. Insomma un figo”, ricorda Francesca Crespini, rappresentante della lista Cut e amica storica di Rosati. A 18 anni conobbe Adele, la futura moglie, nata anche lei in paese un giorno dopo di lui. I due si sposarono nel 1997, il giorno del primo compleanno della figlia Tosca. Tre anni prima avevano avuto il primo figlio, Yuri.
Dopo aver frequentato il liceo scientifico di Pergola si trasferì a Roma per studiare ingegneria ma con la città non c’era feeling. Si veniva dal terrorismo, il clima era pesante e le occasioni di svago erano poche. Decise allora di tornare a Urbino per studiare filosofia, dove trovò un ambiente più intimo, tanto che spesso le lezioni proseguivano al bar coi professori. La figura paterna fu importante quando Rosati decise di fare l’obiettore di coscienza e di non prestare il servizio militare. “Non ho mai avuto feeling con le armi e mio padre mi ha sempre spiegato il perché di un’azione, mentre nell’esercito sarei stato costretto a eseguire un ordine senza farmi domande”. Così a 24 anni si aprirono le porte del servizio civile a Fossombrone; 12 mesi al fianco di persone con gravi disabilità. “Lì ho scoperto l’importanza del dialogo e della relazione anche nelle situazioni più difficili”.
Capacità che gli riconosce anche Silvia Calzini, dipendente della cooperativa Opera gestita da Rosati. “In ogni lavoro precedente mi è sempre mancato un confronto col titolare. Ma con Mario no: ama il confronto e l’ascolto e non esita a delegare compiti agli altri. Con lui posso parlare apertamente”. Ma alcuni suoi vicini di casa non la pensano così. “Abbiamo scoperto il suo nome dai manifesti – si lamentano – non siamo mai andati oltre il saluto e persino i suoi santini elettorali ci sono stati consegnati da altri. Non ci sembra un atteggiamento adatto a un candidato sindaco, che dovrebbe interessarsi ai problemi della gente”.
Tra il 1987 e il 1988 Mario crea con alcuni amici una cooperativa per organizzare eventi culturali, la Symposium, che nel 1992 viene inglobata nella cooperativa storica di Urbino, la Di Vittorio, poi diventata nel 1998 Servizi più. Le cose vanno bene fino al 2008, quando con la crisi economica le commesse cominciano a calare. Quattro anni dopo avviene dunque la fusione con la cooperativa Zanzibar di Ancona. Nasce così Opera, che oggi conta 400 dipendenti attivi nei più diversi settori, dalla cultura al turismo, dalla manutenzione del verde alle pulizie e al facchinaggio che in questi anni ha visto l’ingresso di altre cooperative.
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Ed è l’approccio basato sulla condivisione, tipico delle cooperative, che Rosati vuole applicare in politica puntando a fare di Urbino “una città–grappolo, in cui tutti gli acini–frazioni stanno insieme in un rapporto armonico”.