di GIACOMO PULETTI
URBINO – Adozioni a distanza, missioni religiose in Africa, professori universitari in prima linea nell’aiuto agli ultimi. Un’inchiesta sulle iniziative concrete di sostegno alle popolazioni che vivono in condizioni di estrema povertà rivela che il cuore di Urbino si spinge molto oltre le mura della città ducale. Una solidarietà che coinvolge tutti: dai singoli cittadini al terzo settore, dalle Onlus alla Chiesa cattolica.
Le adozioni di “Rishilpi”
Sono almeno 280 i bambini adottati a distanza dagli urbinati tramite associazioni come “Rishilpi”, che opera a Satkhira, nel sud-ovest del Bangladesh, ai confini della foresta del Bengala. Clima umido, tanto caldo, poche possibilità. È stato Ezio Crescentini, 73 anni e urbinate doc, a far conoscere questa realtà nella città di Raffaello.
“Dopo un’adozione a distanza rivelatasi una truffa – racconta Crescentini – con mia moglie Luciana abbiamo deciso di avvicinarci a “Rishilpi”. Per evitare guai sono andato in Bangladesh per vedere se mia figlia esistesse davvero”. Quando l’ha vista in carne ed ossa l’emozione è stata indescrivibile.
Tornato a Urbino, ha convinto gli amici a sostenere altre adozioni a distanza. “Ancora oggi vado a Satkhira due o tre mesi all’anno – dice Ezio con tanta voglia di condividere la sua storia – lì abbiamo aperto un ostello per bambini disabili dando loro la possibilità di studiare e formarsi nel nostro campus”. Attualmente nella struttura vivono stabilmente 14 ragazzi, che fanno parte delle 160 adozioni sostenute dalle famiglie di Urbino, ma ci sono tanti bambini che trovano nell’ostello un luogo dove ripararsi anche solo per un po’ di tempo.
“Una volta ho incontrato un bambino selvaggio, che si muoveva a quattro zampe e non parlava un linguaggio umano – spiega Ezio ricordando i primi anni in Bangladesh – l’abbiamo accolto nella nostra struttura, gli abbiamo affiancato un maestro di sostegno e nel 2018 si è diplomato”. Oltre all’ostello e al campus dove studiano bambini e ragazzi dall’asilo alle superiori, l’associazione ha aperto 43 scuole elementari in altrettanti piccoli villaggi, per fornire almeno l’istruzione primaria.
Il nome dell’associazione è dato dall’unione di due parole bengalesi: “rishi”, cioè ultimo, emarginato e “shilpi”, cioè artista, artigiano, perché i ragazzi che vengono dalla foresta hanno una grande manualità. L’obiettivo non è quello di evangelizzare, perché, dice la Onlus, “il rispetto delle reciproche religioni è molto importante”. La trasparenza verso i donatori, tutti privati, è fondamentale. “Ogni volta che vado in Bangladesh torno con decine di foto e video per illustrare come vengono spesi i soldi – sottolinea Crescentini – fino all’ultimo centesimo”.
Una rete di granelli
L’onestà verso i donatori è il punto cruciale anche per “Granelli di senape”, Onlus di cui Stefano Testa, romano trasferitosi a Urbino dopo il matrimonio, è segretario generale.
Fondata nel 1995 da Giuliano Testa, ex sacerdote e fratello di Stefano, l’associazione ha circa 50 soci e una trentina di volontari, dei quali cinque tra Urbino e provincia. Radicata in tutta Italia, opera in Costa d’Avorio, Ruanda, Madagascar e Mali. “Siamo partiti nel 1989 – racconta Stefano – e abbiamo costruito 11 scuole ad Anyama, in Costa d’Avorio, portando il tasso di alfabetizzazione dei bambini dal 4% al 92%”.
Negli anni l’associazione si è evoluta, finanziandosi unicamente con le donazioni dei privati, fino a costruire un centro di formazione professionale con sei filiere di lavoro: edilizia, elettricità, idraulica, agricoltura, meccanica e sartoria. “Ma siamo in attesa del via libera dal Miur (ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per aggiungere altre due filiere dedicate alla formazione di personale contabile”, dice orgoglioso Stefano.
Nel 1996 “Granelli di senape” arriva in Ruanda, pochi mesi dopo la fine della guerra civile, e apre una falegnameria per donne a Musanze, occupandosi anche dei bambini rimasti orfani dopo il genocidio. E poi in Madagascar, dove proprio in questi giorni, alla periferia della capitale Antananarivo, è entrato a pieno regime un piccolo ospedale inaugurato nel 2018. In Mali, invece, il problema principale è la mancanza di acqua, e così l’associazione ha costruito dei pozzi e un mulino per la lavorazione di miglio e burro di karitè, acquistando un mototaxi per gli spostamenti.
Un contributo fondamentale è stato quello di Antonello Zanfei, professore di economia applicata alla “Carlo Bo”, che qualche anno fa descrisse la sua esperienza in Africa durante un incontro a palazzo Battiferri, al quale parteciparono alcuni operatori arrivati dalla Costa d’Avorio, sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema. Anche Francesca Cesaroni, docente di Economia aziendale all’università di Urbino, fa parte dell’associazione con il ruolo di sindaco revisore e tutor.
Da allora, un centinaio di famiglie urbinati sostiene a distanza 120 bambini africani, contribuendo alla formazione scolastica e allo sviluppo delle loro famiglie. “Adozioni di aiuto e non di sostituzione, perché per fortuna quasi tutti i bambini hanno già qualcuno che si occupa di loro”, dice Stefano.
L’obiettivo è rendere la popolazione locale per quanto possibile indipendente dagli aiuti esterni. “L’importante è camminare con loro, dobbiamo avere il loro passo, non il nostro – conclude Testa – soltanto se riusciremo a renderli autonomi dal punto di vista economico potremo dire di aver vinto la nostra guerra contro la povertà”.
Il missionario in Africa
Padre Anselmo Bonfigli ha vissuto quasi trent’anni della sua vita in Zambia. Da missionario e rettore di alcuni seminari, nel paese africano ha formato 94 nuovi sacerdoti, costruito scuole e realizzato una decina di pozzi. Ha assistito un parroco ai confini della foresta di Kitwe, retto un nuovo seminario a Livingstone e vissuto per 11 anni a ‘Ndola, dove ha contribuito allo sviluppo di una scuola per meticci nati dall’incontro di persone bianche e nere. Dopo un anno nel vicino Malawi e una breve parentesi a Roma, il religioso è tornato in Zambia, nella capitale Lusaka. “Le aree rurali lontane dai villaggi si sono sviluppate grazie al lavoro dei gesuiti – spiega padre Anselmo, tornato da qualche anno a Urbino – lì i missionari hanno fondato scuole e contribuito alla crescita dell’aspettativa di vita della popolazione”.
Lo Zambia non è tra i paesi più poveri dell’Africa e, dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenuta nel 1964, ha vissuto diversi decenni di sviluppo economico e sociale. Tuttavia nelle periferie e nelle aree più lontane dai centri abitati permangono situazioni di estremo disagio umano e sociale, con sacche di povertà difficili da estirpare. La sua fortuna sono le miniere di rame, intorno alle quali le grandi aziende straniere, soprattutto britanniche e statunitensi, hanno costruito strade e villaggi. “Le multinazionali hanno sfruttato il sottosuolo – spiega il missionario – togliendo a questa gente la loro unica ricchezza. Ma per farlo hanno dovuto costruire infrastrutture, come ponti e piccoli ospedali, delle quali usufruisce anche la popolazione locale”.
Da grafologo, racconta di aver usato lo studio della scrittura per aiutare la comprensione tra gli ex coloni inglesi e i popoli autoctoni, fino ad avere un proprio programma nella tv di stato per spiegare le tecniche della grafologia. “Grazie alla scrittura ho conosciuto me stesso e l’Africa, una terra generosa nelle materie prime e nelle persone – dice padre Anselmo – soltanto così sono riuscito a sensibilizzare molti fratelli alla partenza”.