di VALERIO SFORNA
URBINO – 20 luglio 1969. Un uomo calpesta per la prima volta il suolo lunare e realizza così uno dei sogni più antichi dell’umanità dall’Astolfo dell’Ariosto al regista francese Georges Méliès, passando per Jules Verne e il suo romanzo Dalla terra alla Luna. Quell’uomo si chiamava Neil Armstrong ed era nato trentanove anni prima in un piccolo villaggio dell’Ohio. Nel 2019, cinquant’anni dopo quella storica impresa, il Museo del Balì, a Calcinelli di Saltara, appena 30 minuti di auto da Urbino, si prepara a “tornare” sulla Luna con una serie di eventi, spettacoli ed esposizioni per un viaggio emozionante alla scoperta del nostro satellite.
Ad accompagnare curiosi ed appassionati in questo tour “spaziale” l’astronauta Paolo Nespoli, uno che nello spazio c’è stato e ne conosce i segreti.
Si parte il 6 luglio, con un ospite d’onore: il matematico Piergiorgio Odifreddi. Durante il suo intervento il professore racconterà come il libro Dalla terra alla Luna di Verne sia stato concretamente visionario e come abbia anticipato quello che poi si attuò cent’anni dopo: il viaggio dell’Apollo 11 e la storica impresa spaziale. Sempre il 6 luglio il Museo inaugurerà anche la nuova postazione interattiva dedicata all’allunaggio: la stanza immersiva “Ritorno alla Luna”. Ancora in fase di progettazione, l’installazione permetterà al pubblico di sperimentare alcune delle sensazioni provate dagli uomini che per la prima volta si muovevano sul suolo lunare (in particolar modo la gravità, per “saltellare” come gli astronauti della Nasa).
L’evento clou però sarà quello del 19 luglio quando sul palco del Museo del Balì salirà l’astronauta Paolo Nespoli. Con 300 giorni di permanenza sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) e tre lanci all’attivo Nespoli saluterà il collega Luca Parmitano che il giorno dopo, dal Cosmodromo di Bajkonur (Kazakistan), partirà per la Iss. Parmitano sarà il primo comandante italiano del laboratorio orbitante e decollerà proprio nella data in cui tutto il mondo celebrerà l’impresa di Armstrong e compagni. Il giornalista Luigi Bignami seguirà in diretta il lancio su Focus tv, trasmettendo i saluti di Nespoli all’astronauta, mentre l’evento del 19 al Balì sarà trasmesso in diretta dalle 18.00 alle 20.00 sul programma di Radio 2 Caterpillar.
“Non è stato facile portare Nespoli a Calcinelli, anche perché lui vive a Houston, negli Usa, e verrà qui solo per noi. Ma noi del museo abbiamo la testa dura, siamo una squadra e volevamo onorare questo evento mondiale nel migliore dei modi”, racconta Alessandra Caselli, responsabile dell’ufficio stampa e marketing del Balì.
Ci sarà anche una mostra organizzata dall’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) dal titolo “Da zero a infinito”. Foto dallo spazio e formule matematiche in pannelli che potranno essere “osservati” da diversi punti di vista, anche attraverso la scansione di Qr code.
In pratica la scienza
“Vietato non toccare”. Con queste parole la direttrice scientifica del Museo, Francesca Cavallotti, accoglie il Ducato in una caldissima mattinata di giugno. “Siamo attivi dal 2004 e più che un museo tradizionale siamo uno ‘science center’ che si occupa della divulgazione, promozione e comunicazione della scienza – spiega Cavallotti . La nostra filosofia è quella ‘hands on’ (letteralmente mani sopra, ndr) , ‘pensare con le mani’ affinché gli utenti, attraverso l’esperienza diretta dei fenomeni scientifici, possano apprendere in maniera autonoma”.
Ma cosa si può fare al Balì? Le cose più disparate. Si possono gonfiare, attraverso una pompa a piede, i polmoni di un maiale per vedere la dilatazione dell’organo respiratorio. Si può muovere una molla gigante, appesa al soffitto, per osservare la forma tipica e il comportamento delle onde longitudinali (quelle del suono e dei terremoti). E ancora, attraversare il vortex tunnel che mette in conflitto il senso dell’equilibrio visivo e motorio col serio rischio di un voltastomaco. Oppure creare disegni con la sabbia, attraverso la lastra di Chladni, cambiando le frequenze delle onde sonore. Poi ci sono i classici intramontabili. Il planetario dove vengono proiettate le costellazioni, mentre dall’osservatorio astronomico, attraverso il telescopio scientifico, si osservano i veri corpi celesti.
[aesop_gallery id=”277812″]Il mantra dei musei di tutto il mondo è, infatti, il divieto visibile in ogni sala: “vietato toccare”. Il Museo del Balì ribalta, invece, la prospettiva. “In Italia ci sono poche realtà come la nostra ad esempio la ‘Città della scienza di Napoli’ o il ‘Post di Perugia’, ma in realtà non abbiamo inventato nulla, anzi siamo arrivati tardi”, spiega la direttrice.
Correva l’anno 1969 – anno dunque non marginale per la scienza – quando il fisico statunitense Frank Oppenheimer, fratello minore del più noto Robert Oppenheimer, all’interno del Palace of Fine Arts di San Francisco fondò il primo ‘science center’ interattivo noto col nome di Exploratorium. “Nel secondo dopoguerra, dopo la bomba atomica e il dramma del conflitto mondiale, la gente era terrorizzata dalla scienza – spiega Cavallotti – per questo motivo il fisico americano diede vita al museo interattivo”.
“Il museo dispone di una cinquantina di postazioni interattive, tutte realizzate da artigiani del posto – racconta Cavallotti – dove le persone, da sole o con l’aiuto dei nostri operatori, possono ‘giocare’ con la scienza. Le postazioni possono essere utilizzate nei modi più disparati. Questo porta al pensiero divergente e sviluppa il senso critico”.
I numeri del museo
Il Museo del Balì registra circa 50.000 ingressi all’anno (lo storico Exploratorium di San Francisco circa 500.000). Prima del 2016 i tre quarti degli utenti erano studenti delle scuole medie ed elementari. Dopo il rinnovo delle postazioni interattive – avvenuto proprio nel 2016 – il pubblico generico è in netta crescita e costituisce ormai quasi la metà dell’utenza (soprattutto famiglie italiane). Il Museo si regge sulle sue gambe, l’85% delle risorse, infatti, deriva dalla biglietteria e dalle attività di promozione, mentre solo il 15% da contributi europei, statali e regionali. Ha otto dipendenti, circa cinque collaboratori e 10/15 operatori che a rotazione si occupano delle sale.
Il nome del Museo deriva dalla carica di Vincenzo Negusanti, proprietario della villa dove oggi sorge il centro scientifico. Nel 1700 egli faceva parte dell’Ordine cavalleresco di ‘Santo Stefano Papa martire’ con il titolo di balivo. Già ai tempi del Negusanti la villa disponeva di quattro torrette di osservazione astronomica e venne ristrutturata negli anni ’90, per la creazione del Museo: “La missione scientifica era chiara sin dall’origine, scritta nel suo corredo genetico”, conclude la direttrice Cavallotti.