di LUCA GASPERONI
FANO – Alzi la mano chi sapeva del lungo viaggio della parola “glamour”. Sono stati necessari cinque secoli e quattro stati (Italia, Inghilterra, Scozia e Francia) per arrivare al significato di oggi: “affascinante, alla moda”. Partito come un sinonimo di ‘dottrina’ si è poi convertita in ‘grammatica’ fino a rientrare nella categoria ‘magia, incantesimo’. Un significato, quest’ultimo, lontanissimo dall’inizio ma ormai affine, in un certo senso, all’elemento di ‘seduzione’ ed ‘esclusività’ che caratterizza un oggetto di fascino.
“Il viaggio delle parole è sorprendente, non possiamo mai capire il percorso e la fine a cui sono destinate”, dice Giuseppe Antonelli, filologo e linguista italiano che racconta il flusso, senza sosta, della parole attraverso spazio e tempo. Al teatro la Fortuna di Fano continua il ‘viaggio’ del Festival Giornalismo culturale 2019, questa volta all’interno della letteratura. Più nello specifico dell’evoluzione del linguaggio: il linguista nel suo ultimo saggio Il museo della lingua italiana immagina un museo a tre piani colmo di oggetti simbolici per lo sviluppo della lingua del nostro Paese. “Quando si immagina un museo della lingua si pensa a un luogo dominato dall’immateriale, per questo ho pensato a degli oggetti concreti per creare un collegamento”.
Il fiorentino e il mondo arabo
La visita al museo immaginato da Antonelli inizia dalle basi: al primo piano piano infatti c’è l’italiano antico e, a salire, l’italiano moderno e l’italiano contemporaneo. Nell’antichità ci si imbatte nel fiorino, coniato nel 1252, al tempo la moneta internazionale più ambita. Intanto sullo schermo del teatro scorre una delle scene più famose del film Non ci resta che piangere, in cui Roberto Benigni e Massimo Troisi devono pagare un fiorino per superare la dogana con il loro carretto. E il linguista aggiunge: “L’etimo di dogana invece è in comune con il divano: in Turchia è dogana, poi si diffonde in Arabia e ritorna come divano, il luogo dove si ritrovavano le persone importanti, in Arabia era un sinonimo di governo”.
L’arabo sembra così distante, sia nel linguaggio che nelle tradizioni, dalla nostra cultura, ma è un inganno. Infatti ha penetrato in maniera consistente il nostro linguaggio: basi pensare alle parole albicocca, carciofo, tamburo. “Scacco matto, oggi usato negli scacchi, viene dal persiano “Shāh Māt” e significa il re è morto – dice il linguista – la capacità delle parole di travalicare i confini, di essere motrice di uno sviluppo culturale è incredibile”.
Dalla letteratura alla vita di tutti i giorni
Dal carretto si passa alla carrozza: siamo ai tempi dell’italiano moderno. “Alessandro verri scriveva nella rivista Il caffè e contestava la tradizione toscana di Petrarca-Boccaccio, proponendo un nuovo utilizzo della lingua: ‘Se avessimo dato retta alla pedanteria dei grammatici scriveremmo tutti carrozza con due r ma andremmo tutti a piedi’ “. Insomma il linguaggio si evolve per mettersi al servizio della realtà e della vita di tutti i giorni: l’italiano smette così di essere una lingua letterata e immateriale diventando una lingua che sostiene la concretezza. Perché, come ripete più volte Antonelli, “quando una parola prende piede, poi ci sembra insostituibile”.
.@gius_antonelli: “Le parole non vengono inventate a caso, devono servire a qualcosa, avere una concretezza. Non è la lingua che si adegua alle cose, ma è la realtà che si adatta alle parole.” #fgcult19 pic.twitter.com/7qpw0IlOjP
— Festival del giornalismo culturale 📚 (@fgcult) October 5, 2019
L’invasione del XXI secolo
L’ultima passo del viaggio (e l’ultimo piano di questo museo virtuale) della lingua italiana è l’approdo all’attualità, ormai permeata nel dialogo quotidiano, di sempre più parole straniere. Ma è davvero così? Per il linguista si tratta solo di un fatto di percezione: “Siamo bombardati da questa idea dell’invasione ma le parole inglesi riconoscibili, tipo business, sono a malapena il 3%: nulla di eccessivo una cifra fisiologica per qualsiasi linguaggio.” La lingua è in continua evoluzione e in continuo divenire. Il nostro ampio patrimonio culturale perde regolarmente termini ‘desueti’, allo stesso tempo, ogni anno i dizionari si riempiono di centinaia di neologismi.
“L’italiano è ‘invaso’ da parole inglesi. Si tratta di una ‘invasione percepita’ . In realtà anche ‘bistecca’ è una parola inglese. Ma in italiano le parole riconoscibili come inglesi non sono più del 3%” @gius_antonelli al @fgcult #fgcult19 pic.twitter.com/nf22djG7P2
— Il Ducato Urbino (@IlDucato) October 5, 2019
La guerra delle parole
Antonelli non è affatto preoccupato: “Non bisogna fare una guerra per il linguaggio: le parole si salvano da sole”. Un punto di vista diverso da quanto sta facendo la casa editrice Zanichelli che ha lanciato una campagna per ‘salvare le parole’. Antonelli la definisce “una campagna benemerita” ma ribadisce il suo punto di vista: “La parola ha una sua vita, una sua parabola che è indipendente dalla nostra influenza ‘esterna’, una vita legata alla società, al costume, alla storia: l’unico modo di salvare le parole è utilizzarle e cercare di farle rientrare in un circuito che sia legato ad argomenti quotidiani”.