di LUCA GASPERONI
URBINO – “Grattare oltre la superficie” delle cose per portare alla luce verità scomode, andare alla ricerca di voci fuori dal coro. Usa parole ruvide ma capaci di andare dritte fino al punto Paolo Mondani, coautore e videogiornalista per Report su Rai3, a Urbino per raccontare il lavoro dietro le grandi inchieste giornalistiche, nate “per mettere il sale sulla coda di chi comanda”.
Il linguaggio scelto dal reporter, invitato dall’associazione studentesca Cuspide per un incontro alla fondazione Carlo Bo, è come un biglietto da visita. Si tratta di giornalismo ‘vecchio stile’, un metodo che mette in pratica anche per raccontare storie del XXI secolo: il suo ultimo servizio per Report tocca il tema delle nuove tecnologie e dell’attacco alla privacy.
Al centro dell’inchiesta “Infiltrato speciale”, a breve in onda su Rai3, infatti, ci sono i trojan, i virus ‘inoculati’ sui cellulari, per ascoltare e spiare non solo chi compie i reati ma anche semplici cittadini. Un tema legato a doppio filo “alla sorveglianza di massa dei prossimi decenni”, spiega Mondani, al momento in trattativa per un’intervista con il famoso whisteblower statunitense, Edward Snowden.
A caccia di notizie con la camera in mano
Chi si aspettava un incontro tutto dedicato ai social e ai nuovi media digitali è però rimasto soddisfatto a metà. Il reporter, infatti, ha preferito il dibattito a una lezione e le domande degli studenti si sono concentrate soprattutto sul modo in cui lavora la redazione di Report.
In tutto in studio sono 15, racconta Mondani e si parte sempre da “un mix di segnalazioni, intuito, informatori e spunti colti dalle notizie locali”. Il lavoro dietro alle quinte poi è tutt’altro che rapido: “Il tempo medio è quattro mesi, ma ci sono inchieste a cui mi sono dedicato anche per due anni”, precisa.
Per il futuro il giornalista punta a indagare sulle stragi di mafia 1992/1993 con l’aiuto del collega Giorgio Mottola (ex allievo dell’Ifg di Urbino), così da ricostruire in maniera approfondita dinamiche e mandanti di una stagione di omicidi. Insomma, ci sono tanti progetti in ballo e Mondani guarda avanti: “L’inchiesta di cui vado più orgoglioso? Spero la prossima”.
Oltre le ‘verità facili’
“Il giornalismo non si declina nella categoria ‘di inchiesta’ perché il giornalismo è di inchiesta per natura, altrimenti, semplicemente non lo è”. La spiegazione è semplice: molti colleghi “subiscono la pressione, si adattano a quello che c’è”, magari non vogliono rischiare e allora “scribacchiano, fanno il pezzo buono per tutte le stagioni”.
Non tutti i giornalisti vogliono o possono andare oltre la narrazione di comodo che non crea problemi. Per il coautore della trasmissione Report, si tratta di un “autentico cancro”, visto che l’obiettivo di ogni collega dovrebbe essere “grattare sotto il livello del conformismo, non accontentarsi delle ricostruzioni facili”.
La passione giornalistica
Mondani nel corso dei suoi 25 anni di carriera ha lavorato per network nazionali ed esteri. Il suo esordio è arrivato a metà anni ’90, collaborando agli speciali di Rai2 prima di lavorare come inviato per i programmi Circus, Raggio Verde, Sciuscià e Emergenza Guerra. Nel 2003 è stato coautore, insieme a Milena Gabanelli di Report, con cui, dopo una breve pausa, è tornato a lavorare dal 2007.
A 62 anni il giornalista di inchiesta ha un solo consiglio per chi vuole lanciarsi nella professione:”Tenere la schiena dritta, all’inizio è difficile, lo è ancora oggi, ma ne vale la pena”.
La stampa libera e indipendente è uno dei baluardi della democrazia e secondo il reporter il nostro giornalismo non se la passa bene per due motivi: “Censura e autocensura, forse il problema più grande”.
Accanto ai limiti dettati da una linea editoriale c’è l’autocensura del “conformismo” che si sono imposti i giornalisti negli ultimi decenni. “C’è una forma di narcisismo e autoreferenzialità in questo mestiere – denuncia Mondani secondo cui in molti non vogliono più sporcarsi le mani per trovare le notizie – vorrei che tutti tornassero a raspare nelle periferie per raccontare la vita di tutti i giorni”.
“La foglia di fico” della Rai
Lo scenario dipinto è tutt’altro che incoraggiante. Ma allora come fa a resistere una trasmissione come Report, in onda su un canale della televisione pubblica, spesso influenzata dalla maggioranza politica al potere?
“Noi siamo la foglia di fico, così la rete può dire ‘Vedete? Facciamo anche giornalismo di qualità'”, ammette Mondani che riconosce “siamo un caso unico o quasi all’interno della programmazione nazionale, resistiamo in veste di medaglia da appuntarsi al petto, solo per questo la Rai ci tollera”.
Insomma, il programma con oggi all’attivo 371 puntate, è riuscito ad “attirare le simpatie del pubblico” per le sue battaglie contro i potenti e alla fine la classe dirigente “ha ingoiato il boccone amaro e ha deciso di lasciarci stare”.
Poi ovviamente ci sono anche le difficoltà: le querele temerarie, le critiche, i fatti difficili da dimostrare che ingrossano frustrazioni e delusioni. “Ma non penso mai di cedere”, dice Mondani secondo cui l’arrabbiatura ha un ruolo positivo perché dopo poco “si trasforma in voglia di riprovarci”, di indagare ancora.
“Io non ho perso la speranza nel cambiamento, credo ancora che prima di battersi per i propri diritti è necessario essere informati e conoscerli – conclude Mondani – dipende da noi: nel nostro piccolo proviamo a cambiare il mondo”.