Giornata della Memoria: quando l’Università di Urbino espulse tre docenti e due dipendenti ebrei

di LINDA CAGLIONI

URBINO – Sulla targa in marmo cenerino affissa alle pareti dell’università, l’inchiostro imprime cinque nomi che tramandano il bisogno di non dimenticare. Sono quelli di Cesare Musatti, Isacco Sciacky, Renato Treves, Ettore Bemporad e di Angelo Coen. Uomini che per anni si spesero per dare lustro all’Ateneo urbinate. E che furono cacciati dalle aule con il sopraggiungere delle leggi razziali del 1938, l’insieme di provvedimenti attraverso cui il regime fascista allontanò gli ebrei dalla vita civile.

“A perenne condanna di ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza”, si legge sulla lastra, messa lì esattamente dieci anni fa, il 27 gennaio del 2010. “Per molto, troppo tempo quei nomi sono rimasti nel dimenticatoio. Non è stato un ritardo dettato dalla malafede. Ma siamo un popolo che tende a dimenticare in fretta, mentre oggi più che mai bisogna difendersi dal rischio che le nuove generazioni non sappiano più nulla di quel che è stato”. Parlando con il DucatoErmanno Torrico rintraccia le esistenze di quegli ebrei urbinati in una saletta dell’Istituto Cappellini, la sede dell’Anpi, di cui è presidente.

Tutt’intorno, è un accatastarsi di centinaia di volumi su volumi che raccontano il passato. Tra i tanti, c’è anche il libro che ha curato insieme a Paolo Giannotti, Urbino tra le due guerre. Memoria pubblica e privata, dove ha messo nero su bianco il frutto delle sue ricerche su quegli uomini. Torrico si sistema gli occhiali sul naso e, sfogliando tra le pagine in cerca di conferme a supporto della sua memoria, ripercorre le tappe di quelle vite messe ai margini.

Musatti, nato nel 1897 e considerato il fondatore della psicanalisi in Italia, veniva da Padova, dove dal 1927  dirigeva l’Istituto di Psicologia. “All’epoca del suo arrivo a Urbino aveva già un curriculum scientifico importante. La sua particolarità fu di essere ebreo solo da parte di padre. Ma, poiché l’ebraismo ortodosso prevede la discendenza matrilineare e lui non era nemmeno circonciso, per diverso tempo ci fu confusione sul suo inquadramento”. Proprio questa vaghezza identitaria gli permise di restare in Italia. Cacciato dall’Ateneo di Urbino tornò a Padova, dove dal 1943 fu assunto dalla Olivetti di Ivrea per istituire un laboratorio di psicologia del lavoro, e tornò a insegnare solo nel 1945, all’Università di Milano.

Sciacky era invece originario di Salonicco, dove nacque nel 1896, Da Firenze, arrivò a Urbino per insegnare Storia della filosofia. Entrambi gli accademici si spostarono nella città ducale intorno al 1937, con l’istituzione della facoltà di magistero, che consentiva l’iscrizione all’università anche a chi si era diplomato negli istituti e non più solo ai liceali. “Ci fu un aumento degli iscritti e ci fu bisogno di più docenti – spiega Torrico – così i due si trovarono a tenere più corsi, Sciacky insegnò addirittura letteratura francese, anche se non c’entrava nulla con la filosofia”. Visse in modo ravvicinato la sua identità ebraica, e collaborò al periodico L’idea sionista. Nel 1939 si spostò in Palestina, dove insegnò in una scuola superiore di Tel Aviv.

” Il torinese Treves (1907), contrariamente agli altri due, era arrivato a Urbino nella prima metà degli anni Trenta. Fu anche il primo a fiutare il pericolo. E senza attendere che la situazione degenerasse, emigrò in Argentina”. Lì, cominciò a insegnare Filosofia del diritto e sociologia nell’Università di Tucumán, dove restò fino al 1947. In America Latina, lo studioso ha intessuto stretti rapporti con gli antifascisti italiani, tra i quali Rodolfo Mondolfo e Gino Germani.

“Non meno importanti sono le figure di Ettore Bemporad e di Angelo Coen, anch’essi ebrei citati nella targa – conclude il presidente dell’Anpi. “Coen era un personaggio molto influente, ricopriva l’incarico di economo dell’Ateneo dal 1898. Mentre Bemporad era da anni impiegato nella biblioteca”.

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