di ALICE POSSIDENTE
URBINO – C’è una sindrome forse più grave del Coronavirus e condiziona la nostra mente. Non si tratta di una malattia ma, in alcuni casi, può rivelarsi molto contagiosa. Si chiama Infodemia, ed è il termine usato dall’Organizzazione mondiale, che ha appena lanciato un messaggio tanto chiaro quanto ironico: “Il virus non si diffonde per posta”. E anche l’Istituto Superiore Sanità (Iss) è intervenuto su quella che sembra essere diventata una psicosi. Sul canale Twitter ufficiale raccomanda di “non dare credito a fonti non ufficiali, come messaggi vocali su social e app di messaggistica”.
Se disinformazione e complottismo viaggiano in rete
Il problema delle fake news e dell’odio in rete correlato al caso del Coronavirus sta forse diventando più urgente del Coronavirus stesso. La circolazione in rete di notizie in cui è impossibile scernere la verità dai falsi miti. Da qui, il passo al fenomeno dell’odio on line è brevissimo. Ne parliamo con Giovanni Boccia Artieri, sociologo, docente all’Università Carlo Bo di Urbino e appena scelto nel team dei 16 esperti della task force ministeriale contro gli haters.
“In contesti di disinformazione, tematiche come quelle delle epidemie diventano argomenti particolarmente sensibili”, dice. La posizione del professor Boccia Artieri è chiara: le tematiche che riguardano la salute, in generale, tendono a polarizzare. Nel caso specifico del Coronavirus, poi, sottolinea il professore, “dove è individuabile il centro geografico della del focolaio della malattia, in Cina, si creano meccanismi di polarizzazione ancora più forti, in cui si scatenano meccanismi di odio contro un’etnia specifica”.
E si è quasi compiuto il passaggio successivo alle dinamiche di complottismo: si scatenano tematiche virali, in cui si innescano meccanismi di retoriche della comunicazione.
Il ruolo dei media
Nel caso specifico del Coronavirus, non potendo trattare la questione dal punto di vista scientifico, perché non si hanno lo competenze, la si esaspera dal punto di vista comunicativo. Questo è il classico caso in cui la globalizzazione fa da fulcro. Spostamenti di grandi masse di persone in poco tempo, rapida circolazione di informazioni a cui si aggiunge la diffusione del virus stesso che, potenzialmente, potrebbe diffondersi a livello globale.
L’allarme sociale, in questo caso, è dato anche dai media. “In questi giorni abbiamo assistito a innumerevoli titoli allarmistici”, afferma il professor Boccia Artieri “sono continui elementi che rimandano al continuo stato di allerta”. Fenomeni che nella stampa estera non accadono. “Il New Yorker, per esempio, – continua Boccia Artieri – parla soltanto di un super raffreddore e non fa allarmismo”.
Chi sono gli haters?
Ma i meccanismi di odio on line non nascono in rete. Hanno origini diverse, al di fuori del mondo virtuale. La viralità delle fake news e dell’odio prende vita con il disagio sociale. In realtà, afferma Boccia Artieri, “Non è possibile fare un identikit dell’hater”. Generalmente gli haters sono persone che in un particolare momento storico e in particolari condizioni economiche e sociali, sviluppano tendenze negative verso altre persone, che li indirizzano a meccanismi di odio. Sono meccanismi in cui si scatena una controparte forte. “Un po’ lo stesso discorso che accade durante del tifo calcistico, si assume una posizione e la si difende fino alla fine”. I media pubblici, solo successivamente, acquistano un’importanza rilevante, perché influenzano pesantemente l’opinione pubblica.
La task force ministeriale
Proprio per tentare di arginare il sempre più dilagante fenomeno dell’odio sul web, qualche giorno fa è stata istituita una task force ministeriale, un gruppo di lavoro con sedici esperti per contrastare i fenomeni di hate speech. Il team è composto da esperti eterogenei tra loro: sociologi, giornalisti, creativi, docenti universitari, uno scrittore, un avvocato e un ricercatore, tutti contattati individualmente da Guido Scorza, che è il consigliere giuridico del team trasformazione digitale. Tra loro anche il professor Giovanni Boccia Artieri. “Si tratta di un periodo particolarmente sensibile in Italia, in cui piattaforme e media in generale hanno un ruolo rilevante.” dice Boccia Artieri. “Anzi – continua – il rischio è che si generino troppe attese sul gruppo in sé”.
Lo scopo della task force è provare a individuare possibili soluzioni per contrastare l’odio on line. “Non si tratta di una commissione. questo significa che la task force non potrà prendere decisioni” afferma Boccia Artieri. Il lavoro durerà 90 giorni, entro il termine verrà stilato un documento.
In realtà, norme che riconoscono l’odio e puniscono l’odio, esistono già. Il gruppo di lavoro si propone di porre le basi per nuove premesse per legiferare. Se poi verrà dato loro ascolto non si sa, se non altro è grande passo avanti chiedere aiuto a un team di esperti prima ancora di fare le leggi.