di GIULIA CIANCAGLINI
URBINO – Centodieci gatti vivono all’Oasi felina di Urbino ancora oggi, giorno della festa del gatto. Dal 2003, i volontari che negli anni si sono avvicendati continuano il loro impegno nel far vivere quell’oasi felice in via dell’Annunziata gestita dall’associazione Arca di Noè che, come nel racconto biblico salvava tutte le specie animali del mondo, dà un riparo sicuro agli amici felini abbandonati e in cerca di una famiglia che li accolga.
“Purtroppo è ancora molto molto frequente l’incivile pratica dell’abbandono davanti alla struttura, che è un reato – spiega al Ducato Eleonora Grilli, 34 anni, presidente del gattile – d’estate soprattutto piazzano scatoloni pieni di gattini, di cuccioli”.
Dopo aver accolto e curato i gatti abbandonati, i volontari dell’Oasi felina cercano per loro una nuova casa. Un lavoro messo in pratica con un metodo di selezione severo, perché nulla è lasciato al caso. Solo lo scorso anno, le adozioni sono state circa 50: “Ma nel tempo, questo numero si è un po’ contratto, perché siamo sempre più selettivi – continua – diciamo tanti ‘no’ perché vogliamo garantire all’animale una qualità di vita alta e non vogliamo che poco dopo quel gatto torni da noi”. Si parte con un colloquio per conoscere i motivi dell’adozione. Davanti a frasi come: “Sto cercando il gatto per i topi”, “L’animale uscirà comunque anche se abita vicino a grandi strade trafficate” o “Cerchiamo un micio per la nostra bambina di due anni, così starà buona”, i volontari dell’Arca di Noè negano l’adozione.
Quando i volontari trovano l’accoppiamento tra gatto e padroni, portano l’animale nella nuova possibile casa, passano un po’ di tempo lì per aiutare a capire come bisogna prendersene cura. “Ogni gatto ha la sua storia, noi impariamo a conoscerla passando il tempo insieme”. Lo scorso settembre, una studentessa ha abbandonato il suo gatto prima di lasciare Urbino. Il micio è rimasto lì fuori da quella casa, finché un’altra studentessa lo ha notato. Gli ha dato da mangiare e, non potendo fare di più, ha contattato ha contattato l’Oasi felina che è intervenuta per il ricollocamento. Ora il gatto ha una nuova casa e anche se non ha mai vissuto nel gattile, l’Arca di Noè l’ha salvato.
La casa ideale per un gatto ospite dell’Oasi, per i criteri usati dai volontari, deve essere ben riparata da eventuali strade troppo trafficate: “Non perché siamo cattivi – spiega la presidente – ma perché stiamo gestendo tutt’ora con impegno e fatica quattro gattine paralizzate, che dalla vita in giù non sentono le zampe, non le muovono e devono essere aiutate anche nei loro bisogni fisiologici. Loro sono così non perché ci sono nate ma perché la strada è brutta e l’investimento non porta sempre alla morte. La soluzione non è l’eutanasia, loro meritano di vivere proprio come gli altri. Basta vederle giocare per capirlo”.
Nell’Oasi non viene assicurato solo il cibo, ma anche le terapie: medicine in compresse, in sciroppo, iniezioni, operazioni per disinfettare le ferite. “Quando un gatto sta male lo portiamo da un veterinario privato che paghiamo noi – spiega la presidente – è un impegno in termini di soldi e di tempo”.
L’Arca di Noè non è soltanto un posto di passaggio e in questo momento sono in corso dei lavori per migliorarla e renderla “un’oasi davvero felice”. Il gattile ha un limite massimo di 90 posti, “ma stiamo abbondantemente oltre questo numero – dice Eleonora – e anche se siamo in difficoltà quando vediamo gli scatoloni non riusciamo a dire di no”. Ora l’Arca di Noè è in fase di ristrutturazione: con la promozione del Comune di Urbino, i cinque vecchi box dove prima i gatti trovavano riparo sono stati buttati giù, per dar loro una nuova casa. “Abbiamo acquistato quattro casette, due comprate da noi e due dal Comune. Sono fatte di travi in legno, le stiamo costruendo noi”.
Eleonora guida oggi un gruppo di cinque volontari, quattro donne e un uomo. Nel tempo che le rimane fa l’impiegata – scherza lei – e quando le viene chiesto perché ha scelto di dedicare tutto questo tempo ai mici, risponde: “Non lo so, è bello, è faticoso ma lo faccio perché nessuno deve essere lasciato indietro, ognuno deve fare quello che può, in base alla proprie abitudini. Non tutti sanno relazionarsi con le altre persone, alcuni però sanno relazionarsi con gli animali. E allora possono fare la loro parte, aiutando proprio gli animali”.