di FRANCESCO COFANO
URBINO – Tutto il mondo oggi è in guerra contro il Coronavirus. Ma c’è anche chi in trincea contro una malattia apparentemente invincibile è abituato ad esserci da tanto tempo. Mirko Paiardini, nato a Urbania con laurea e dottorato di ricerca in Biochimica all’Università di Urbino, da vent’anni combatte contro un nemico chiamato Hiv. Negli ultimi dieci anni il suo campo di battaglia è uno dei poli di ricerca più prestigioso di tutti gli Stati Uniti, quello della Emory University ad Atlanta. “Ma non sono un cervello in fuga – ci tiene a precisare il dottor Paiardini – è stata una scelta partire nel 2006 per vivere stabilmente negli Stati Uniti, prima a Philadelphia e poi dal 2010 ad Atlanta”.
Il giorno più nero per le Marche – I decessi sono 23. Ceriscioli raccomanda: “State a casa”
Due giorni fa la rivista Nature Medicine – una delle pubblicazioni scientifiche più importanti al mondo – ha pubblicato i risultati di una ricerca che Paiardini ha condotto insieme a un team tutto italiano, composto da Barbara Cervasi, Luca Micci (entrambi laureati a Urbino) e Guido Silvestri. Un passo avanti importante, perché si è dimostrato che alcuni tipi di farmaci antitumorali permettono di eliminare alcune cellule in cui l’Hiv si nasconde. Ma “il bicchiere è mezzo pieno – dice Paiardini – perché dopo l’interruzione della terapia il virus torna a replicarsi. La terapia che abbiamo testato ha dato risultati importanti e funzionato come ipotizzato ma per la cura definitiva manca ancora qualcosa”.
Cosa avete dimostrato con questo articolo? Perché avete usato farmaci antitumorali per combattere l’Hiv?
“Per spiegarlo è necessario fare una premessa. Sia il tumore che l’Hiv fanno attivare delle molecole recettori, dette Pd1 e Ctla4. Queste molecole sono espresse dalle nostre cellule e bloccano il nostro sistema immunitario e i nostri linfociti, come se non ci siano nemici da sconfiggere, mentre il tumore o il virus proliferano indisturbati. I farmaci antitumorali però silenziano le molecole recettori e fanno sì che il sistema immunitario, in particolare i linfociti T CD8, tornino a funzionare. In parole semplici, l’esercito dei CD8 e’ pronto e armato per uccidere, e i nemici, le cellule tumorali, sono facilmente riconoscibili. Ma se col tumore le cellule crescono e sono facilmente individuabili dai linfociti CD8, con l’Hiv c’è un problema in più”.
Quale?
“Il virus con la terapia a base di farmaci antiretrovirali viene silenziato ma è ancora presente, anche se non si vede. Quindi non solo bisogna attivare il linfocita CD8 ma devi fare anche in modo che questo possa vedere il virus, che è nascosto in un altro tipo di linfocita, il CD 4 o linfocita serbatoio. Bloccando i recettori questo linfocita torna ad attivarsi e con lui anche il virus – paradossalmente – si ripresenta. Così facendo il sistema immunitario lo riconosce e i CD 8 lo eliminano. È la strategia dello ‘shock and kill’. E così è successo nel nostro studio”.
Perché allora non si può cantare vittoria contro l’Hiv?
“Perché il trattamento non è stato sufficiente per eliminare tutte le cellule in cui si nascondeva il virus, che una volta sospesa la terapia è tornato a manifestarsi. È stato comunque un passo in avanti importante perché i farmaci antiretrovirali tradizionali impediscono al virus di infettare nuove cellule ma non eliminano il virus nascosto. Ora invece abbiamo dimostrato che alcuni farmaci antitumorali eliminano una parte importante del virus nascosto nelle cellule serbatoio, ma di per sé non si può ancora parlare di cura, è bene sottolinearlo per non alimentare false speranze”.
Ma questo significa che l’Hiv non si nasconde solo nei linfociti CD 4?
“Ci sono due possibilità: o l’Hiv si nasconde in linfociti CD 4 che si trovano in tessuti dove i farmaci sono meno efficaci, ad esempio il cervello, oppure si nasconde in altre cellule che non hanno i recettori PD 1 e CTLA 4 e restano silenti. Questo non è ancora chiaro, le due ipotesi sono ancora aperte”.
Ora cosa farete?
“Ora vorremmo aggiungere a questi farmaci altre molecole che dovrebbero aiutare a uccidere il virus in tutte le cellule in cui si nasconde. Ci sono diverse strategie ancora sul tavolo, tenendo presente che queste molecole non sono state tossiche nelle scimmie ma la sicurezza sugli uomini è ancora da dimostrare”.
In queste settimane domina un altro virus, il Sars Cov 2. Perché in questo caso, a differenza dell’Hiv, si parla già di un possibile vaccino?
“L’Hiv ha un difetto che si è rivelato un vantaggio: fa degli errori quando si replica, quindi cambia in continuazione. Per dare un’idea, le variazioni che si hanno in un virus influenzale in un anno sono paragonabili a quelle dell’Hiv in un giorno. Quindi i classici approcci dei vaccini con questo virus non funzionano: quando crei un vaccino per uno specifico ‘profilo’ di Hiv questo ha già cambiato volto. Il Coronavirus, per quanto se ne sa finora dal suo sequenziamento, sembra cambiare molto poco e di conseguenza dovrebbe essere più semplice trovare un vaccino”.
In che tempi si potrebbe trovare un vaccino per il Coronavirus?
“Diverse aziende farmaceutiche e università stanno testando un vaccino. Anche supponendo che un vaccino che protegge dall’infezione venga trovato in tempi molto rapidi ci sono tempi tecnici per estendere la sperimentazione sugli uomini. Ci vorranno diversi mesi”.
In America si registrano casi in tutti i 50 Stati. In Georgia com’è la situazione?
“La Georgia ha dichiarato lo stato di emergenza ma fortunatamente qui con l’Emory Hospital c’è una cultura consolidata di ricerca. Qui abbiamo anche il Center for Disease Control, l’equivalente dell’Istituto superiore di sanità, che svolge un’importante funzione di controllo. Le scuole sono chiuse dalla settimana scorsa e anche noi lavoriamo da casa. Ma anche in quest’ultimo week end bar e ristoranti erano pieni di gente. Il numero di morti non è alto rispetto all’Italia e considerando la popolazione degli States, ma siamo nella fase in cui i casi iniziano a crescere in modo esponenziale e ci sono già medici ricoverati perché sono i più esposti. La cosa preoccupante è che i test sono molto in ritardo e adesso che finalmente i controlli stanno crescendo i casi aumenteranno in maniera molto significativa”.
C’è preoccupazione anche nella gente?
“Ora sì, i supermercati non hanno più prodotti. Due miei colleghi in pensione mi chiedono una mano per comprargli le cose più essenziali come la carta igienica. Qui sono abituati a prendere d’assalto i supermercati per ogni emergenza”.
Pensa che in Italia questo stato di emergenza vada oltre il tre aprile?
“È difficile dirlo ma secondo me è molto probabile. I morti che si contano oggi sono quelli che si sono infettati due-tre settimane fa e sono stati ricoverati in terapia intensiva, in media, dopo una settimana dall’infezione quando i sintomi si sono manifestati. Bisogna considerare almeno altre due settimane per vedere l’efficacia delle misure prese dall’Italia. Questi giorni saranno cruciali: se i casi cominceranno a scendere sono ottimista”.