di GIULIA CIANCAGLINI
URBINO – La città vuota per le restrizioni legate all’emergenza Coronavirus ha spinto un poeta dialettale a riempirla con i personaggi della sua memoria. Fortunato Galeotti è un urbinate di 85 anni che per tutta la vita ha fatto l’agricoltore e scritto storie in dialetto sulla sua città. “Da 5 o 6 anni, da quando ho Facebook, le pubblico sul mio diario, per condividerle con gli altri ma anche per custodirle – racconta – prima scrivevo in modo disordinato, non trovavo più i quaderni e molte cose sono andate perse”.
Fortunato sta passando questi giorni di emergenza a casa da solo, non esce da più di quindici giorni. Ma da quello che legge sui giornali e dalle chiamate con i suoi amici è riuscito a immaginare la sua città vuota. “Non ricordo di essere mai stato in un altro posto”, risponde quando qualcuno gli chiede se ha sempre vissuto a Urbino. In realtà la sua famiglia si è trasferita in città quando lui aveva due mesi. “La mia prima casa era in via Veterani davanti al Duomo, e lì sono stato fino a 25 anni; poi sono stato in via Barocci e ora vivo sopra al cimitero in via Mulinelli”. E proprio nelle vie di Urbino si muovono i personaggi delle sue storie.
Fortunato suggerisce la traduzione dal dialetto dell’inizio della storia urbinate: “Vedi anche questo virus ha il suo lato positivo, facendo sparire tutta la gente dalle strade di Urbino è stato come un restauratore che fa venir fuori un dipinto nascosto sotto a un altro, questo permette di vedere bene cosa era rimasto sotto, in questo caso tutti quelli che prima di loro avevano lavorato nelle botteghe di Urbino”. Come Filo, “uno sportivo che ai tempi correva con la motocicletta e vinceva i premi”, o il pescivendolo con la parananza e “sua madre fuori con un padellone che vendeva il pesce fritto”, o ancora Peppi il fruttivendolo. Poi una passeggiata fino ad arrivare “in cima dove c’è il Buco, aperto da Livio, che vendeva la crescia e che prima si chiamava ‘la crescia da Livio’ Ma parliamo di prima del ’50 – sottolinea Fortunato – quando non c’era un negozio libero, era tutto occupato e pieno. Non certo come oggi”.
Nomi che oggi sono difficili da ricordare ma che un tempo erano conosciutissimi. “Tanti, magari della mia età, leggendo quello che scrivo si rivedono nelle vie di Urbino e riconoscono i negozianti”, spiega. Su Facebook il post ha ricevuto oltre 100 ‘mi piace’ e più di 80 commenti e alcuni suggerivano proprio qualche personaggio ‘mancante’. Fortunato, raccontando della sua storia come di una passeggiata immaginaria, dice scherzando di aver descritto soltanto quelli che ha incontrato lui ma che “ce ne sono tanti altri che magari quel giorno non c’erano”.
L’urbinate ha sempre scritto della città e delle vie, dei negozi e delle persone tanto che i titoli delle sue storie spesso sono “facevo ‘ngirett in” seguito da una strada o da un quartiere. E anche se ora non può vederla, perché non esce mai di casa per paura di essere contagiato, ha in testa un’altra immagine di Urbino deserta. Quella degli anni della Seconda Guerra Mondiale. “Io ho vissuto la vita qui quando c’è stata la guerra ed ero un ragazzino, si viveva nelle case di Urbino mezze diroccate con una candela e un po’ di legno nel camino, per riscaldarsi ci si ammassava tutti vicino al camino – racconta Fortunato – Adesso abbiamo la casa sempre al caldo, la televisione, la luce elettrica, internet, il telefono. Abbiamo molto di più oggi dentro casa che ieri fuori”.
L’85enne ha i polmoni così malandati che, come dice lui, “se mi prende il Coronavirus mi possono dare direttamente una schioppettata” e per la paura di essere contagiato non esce mai di casa. “Ma sono abituato a stare in casa da solo. Le medicine me le hanno portate in mezz’ora dopo che ho chiamato al Comune. E anche per la spesa farò così. Potrei andare avanti così per molti mesi”, ammette. E, secondo lui, tutti potrebbero farlo, “basterebbe solo stare un po’ più tranquilli anche perché ci viene chiesto di stare in casa e non di andare in guerra, come un tempo – commenta – i tedeschi forse facevano paura tanto quanto il virus, ma noi avevamo molti meno possibilità”.