L’evoluzione negli ultimi dieci anni della geografia del sangue in Italia, tra regioni più virtuose e regioni che, pur donando molto, hanno bisogno di chiedere supporto alle altre. Senza tralasciare come è cambiato nel tempo l’identikit dei donatori, mentre all’orizzonte si affaccia la necessità di un ricambio generazionale.
di MARIA LETIZIA CAMPARSI e NICOLETTA PETTINARI
URBINO – Le donazioni di sangue in Italia salvano la vita in media a una persona al minuto, per un totale di circa 630 mila persone all’anno. La maggior parte di noi può donare il sangue e molti, almeno una volta nella vita, ne hanno bisogno. Grazie alle donazioni volontarie e non retribuite, dal 2000 l’Italia è un paese autosufficiente e non deve chiedere sangue all’estero. Le trasfusioni sono indispensabili nel trattamento di moltissime patologie e per gli interventi chirurgici. Sono poi fondamentali nelle terapie mediche per leucemia e insufficienze renali croniche.
Nel 2018 il Friuli Venezia Giulia è stata la regione italiana con il maggior numero di donatori ogni 1000 abitanti (40), seguita dalla P.A. di Trento (34) e dalla Sardegna (33). In fondo alla lista Campania e Lazio (entrambe a quota 23). Va anche sottolineato che, sempre nello stesso anno, circa metà delle regioni ha fatto segnare un aumento dei donatori.
IL TURN-OVER TRA GENERAZIONI E IL DIVARIO DI GENERE
LO SCAMBIO DI SANGUE TRA REGIONI
DOVE DONARE – CHI PUO’ DONARE – LA PROCEDURA
LE PARTI DEL SANGUE E IL PRELIEVO
IL PERMESSO DI LAVORO IN CASO DI DONAZIONE
LE TESTIMONIANZE: GIOVANI E MENO GIOVANI A CONFRONTO
Il turn-over tra generazioni e il divario di genere
Negli ultimi 10 anni c’è stata una decrescita tendenziale dei donatori italiani: seppur cresciuti tra il 2009 (1.690.426) e il 2012 (1.739.712), sono diminuiti nel 2013 (1.734.669) e nel 2014 (1.712.456), hanno quasi raggiunto la soglia di 1 milione e 800 mila nel 2015, calando ancora tra il 2016 e il 2017. Nel 2018, ultimo dato ad oggi disponibile, sono invece aumentati e hanno raggiunto la cifra di 1.682.724. Secondo il direttore del Centro Nazionale Sangue (Cns) Giancarlo Liumbruno, il picco del 2015 “è stato la risposta da parte del volontariato al calo complessivo, riuscendo a determinare una crescita, in quell’anno, del numero dei donatori in molte regioni d’Italia, in particolare per quanto riguarda i giovani”.
Ma sono proprio le nuove generazioni a rappresentare, almeno fino al 2018, il “tallone d’Achille” dei donatori in Italia. Ecco i numeri nello specifico:
- 18-25 anni, 12%
- 26-35 anni, 17%
- 36-45 anni, 25%
- 46-55 anni, 29%
- 56-65 anni, 16%
- Over 65 anni, 1%
Manca, dunque, il turn-over tra le varie fasce d’età, perché rispetto agli anni precedenti l’incremento è tra i donatori over 45, soprattutto quelli tra i 46 e i 55 anni. Questi, per fare un esempio, sono passati dal 25% nel periodo 2011-13 al 27% tra il 2014 e il 2017, per poi approdare al 29% nel 2018. I giovani invece hanno incontrato una decrescita consistente già tra il 2016 e il 2018: nel 2016 erano il 15% e due anni più tardi si sono fermati al 12% del totale. Aspetti dovuti in parte sicuramente anche all’invecchiamento generale della popolazione.
“Un ricambio non c’è ancora infatti – spiega Liumbruno – ma la crescita degli over 46 è il frutto del lavoro mirato a realizzare un’inversione di rotta e un rinnovamento con l’integrazione delle nuove generazioni”.
Altro elemento importante che caratterizza i donatori italiani è il marcato divario in base al sesso che divide le donne dagli uomini. Dal 2011 al 2018 la differenza di genere si è mantenuta quasi sempre stabile, con i donatori uomini al 70% e le donatrici donne al 30%, oscillando via via di pochi punti percentuali. Tale dato, tuttavia, si è leggermente modificato nel 2018 e si è tradotto in un aumento del versante femminile, al 32%, e in una diminuzione della controparte maschile al 68%.
Per meglio delineare la situazione oggi delle donatrici e dei donatori in Italia, abbiamo raccolto le testimonianze di alcune e alcuni di loro, giovani e meno giovani, così da raccontare un mondo che non è conosciuto da tutti e cercare di chiarire i motivi del calo delle donazioni, soprattutto nelle fasce under 45. I più giovani hanno collegato il basso afflusso del loro “contributo” alla mancanza di un’adeguata informazione in materia e al disinteresse collettivo che aumenta di generazione in generazione. Mentre i più maturi ritengono che si doni di meno per egoismo e perché abbondano sia fake news che distrazioni, come le nuove tecnologie.
Lo scambio di sangue tra regioni
Per la compensazione di sangue in Italia esistono particolari accordi tra le regioni, le quali si scambiano globuli rossi. Il sistema è mirato e preciso, in quanto le regioni che hanno più sangue lo cedono a quelle che ne hanno bisogno. In quest’ottica si distinguono perciò realtà che hanno a disposizione più sangue e altre invece “in deficit”, che sono in condizione di ricevere, dunque, piuttosto che di donare.
La mappa del sangue in Italia
Nel 2018 dal rapporto tra produzione e consumo di globuli rossi (tecnicamente si ragiona in unità di emàzie, ovvero 280 ml di globuli rossi) è emerso che le regioni più virtuose sono state Piemonte e Lombardia, mentre Lazio e Sardegna si sono invece classificate, rispettivamente, penultima e ultima.
La Sardegna, infatti, si vede costretta a ricevere sangue dalle altre regioni, principalmente dalla Valle d’Aosta a cui è legata da una specifica convenzione. Questa esigenza dipende dal fatto che molti pazienti sardi sono affetti da emoglobinopatie, come ad esempio la talassemia, una malattia ereditaria del sangue che comporta anemia (basso numero di globuli rossi). Ciò nonostante, evidenzia il direttore del Cns Liumbruno “stando a dati recenti la Sardegna è al terzo posto per il tasso di donazioni ogni mille abitanti. Pertanto raccoglie moltissimo, ma ha anche bisogno di aiuto”.
La carenza di sangue nel Lazio si deve invece a due fattori fondamentali: il primo riguarda le sue strutture ospedaliere, un vero e proprio punto di riferimento specialmente per il Centro-Sud, che necessitano quindi di ingenti quantità di sangue per far fronte alle varie tipologie di interventi; il secondo affonda le sue ragioni nella carenza organizzativa e del personale di cui soffre la rete trasfusionale pubblica della regione: “Su 1700 medici che servono ne mancano circa 500”, puntualizza Liumbruno.
Il tariffario e i rimborsi
È bene fare subito una precisazione. Quando si parla di tariffario per il sangue non bisogna intendere dei prezzi veri e propri, dal momento che, come rimarca Liumbruno, “il sangue non si vende. Esistono soltanto tariffe ad hoc, fissate dal Ministero della Salute, volte a compensare i costi di produzione e cioè la raccolta e la qualificazione del sangue”.
In sostanza non vi è alcuna forma di pagamento o di lucro, bensì un rimborso che è dello stesso tipo che si ha, ad esempio, quando una persona si fa operare in una regione che non è quella d’origine.
Grazie all’accordo Stato-Regioni dell’ottobre 2015 sono state aggiornate le tariffe di scambio degli emocomponenti e, per la prima volta, sono state inserite anche le tariffe dei medicinali emoderivati prodotti dal plasma.
L’accordo tiene conto, tra le altre cose, dei principi fondanti del sistema trasfusionale e dell’autosufficienza nazionale. Per questo motivo vengono stabiliti i medesimi rimborsi in tutta Italia, così da garantire un tariffario unitario per la cessione del sangue e degli emocomponenti, tanto tra le aziende sanitarie (pubbliche e private) all’interno di una determinata regione, quanto tra le regioni stesse.
Dove donare
Le donazioni di sangue possono essere effettuate in diversi posti: dai servizi trasfusionali degli ospedali alle autoemoteche, le unità mobili adibite alla raccolta del sangue, spesso in giro tra licei, università, parrocchie, comunità. Sono molte, poi, le persone che scelgono di svolgere il prelievo negli appositi pulmini nei pressi dei luoghi di lavoro. Stando al Centro Nazionale Sangue, le unità di raccolta in Italia sono 1340, collegate a 326 centri trasfusionali, coordinati da 21 Centri Regionali del Sangue. In totale, dunque, la rete può contare su 1666 punti di prelievo. Le associazioni di volontariato più note nel campo delle donazioni di sangue sono Avis, Croce Rossa, Fidas e Fratres. È possibile vedere qual è il punto più vicino a casa per donare il sangue sul sito del Cns.
Chi può donare
Possono donare sangue i cittadini italiani e stranieri, purché in possesso di un documento d’identità valido. Alcune strutture possono poi richiedere la tessera sanitaria per l’attribuzione del codice fiscale.
Di norma può donare chi ha un’età compresa tra i 18 e i 65 anni. In alcuni casi e dietro opportuna valutazione clinica del medico anche chi ha fino a 70 anni. Occorre inoltre pesare più di 50 chili e godere di un buono stato di salute. L’elenco completo dei requisiti fisici del donatore è contenuto nell’allegato IV del Decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015.
Non possono, invece, donare il sangue coloro che hanno contratto epatite virale B o C, Aids, sifilide, leucemia e diabete. Oppure chi è soggetto a disturbi psichici, patologie cardiovascolari o alcolismo; oltre a chi fa uso di droghe, anabolizzanti, steroidi.
Ci sono, infine, dei casi in cui si osservano dei periodi di sospensione. Ad esempio quattro mesi dopo piercing, tatuaggi, rapporti sessuali a rischio non reiterati (occasionali, promiscui), interventi chirurgici maggiori, agopuntura, endoscopie. Bisogna poi aspettare 6 -12 mesi dopo il rientro da viaggi in zone dove c’è il rischio di contrarre malattie infettive tropicali e 6 mesi dopo il parto.
La lista dettagliata dei criteri di sospensione è contenuta nell’allegato III del Decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015.
La procedura
L’aspirante donatore, arrivato alla struttura trasfusionale, deve compilare un questionario che serve al medico selezionatore per individuare eventuali motivi di sospensione o di esclusione dalla donazione. In seguito, per approfondire alcune risposte fornite nel questionario, vi è un colloquio conoscitivo con il medico stesso, il quale in caso di esclusione o rinvio del prelievo è comunque tenuto a motivare la scelta.
Terminato il colloquio, l’aspirante donatore viene sottoposto agli esami del sangue necessari a determinare il gruppo sanguigno e a verificare che non abbia patologie. Se gli esami danno il via libera si può donare subito, oppure si viene convocati in un secondo momento.
Le parti del sangue e il prelievo
Il sangue è composto al 55% da plasma, al 44% da globuli rossi e all’1% da piastrine e globuli bianchi. Il prelievo per le donazioni di sangue intero dura circa 10 minuti. I globuli rossi possono conservarsi fino a un limite di 42 giorni in appositi frigoriferi che hanno una temperatura compresa tra 2° e 6° C. Gli uomini possono donare ogni quattro mesi, tre volte l’anno in totale, mentre le donne ogni sei, due volte l’anno.
Le donazioni di plasma avvengono di norma ogni tre mesi e il prelievo dura tra i 40 e i 50 minuti. È considerato un prelievo “light”, proposto soprattutto a ragazze o, in generale, a chi sente molto la donazione di sangue a livello fisico. Il plasma viene congelato rapidamente e, se mantenuto a temperatura inferiore a –25°C, può essere conservato fino a 24 mesi. Di norma viene impiegato per realizzare alcuni farmaci, cosiddetti appunto plasmaderivati.
Le donazioni di piastrine sono fatte su richiesta e sono quelle più impegnative e lunghe. Il prelievo dura quasi un’ora e mezzo e si può effettuare solo se il medico acconsente, dopo aver visitato il donatore e valutato il suo patrimonio venoso. Una volta estratte possono conservarsi per un massimo di cinque giorni a una temperatura compresa tra i 20° e i 22°C. Le piastrine intervengono nel processo di arresto delle emorragie e di riparazione delle lesioni dei vasi sanguigni e sono particolarmente utili per chi ha problemi di coagulazione. I concentrati di globuli bianchi, con funzione di difesa dell’organismo, hanno una durata massima di 24 ore e vanno conservati a una temperatura compresa tra i 20-22° C.
Il permesso di lavoro in caso di donazione
Il donatore di sangue, lavoratore dipendente, ha diritto ad ottenere un permesso per l’intera giornata in cui effettua la donazione, conservando la normale retribuzione per l’intera giornata lavorativa (art.8, legge 219/2005), purché il prelievo:
– avvenga nei Centri autorizzati dal Ministero della Sanità (Centro di raccolta fisso o mobile, Centro trasfusionale o Centro di produzione di emoderivati);
– sia almeno di 250 grammi.
La giornata di riposo retribuita spetta a tutti i lavoratori dipendenti con qualsiasi qualifica, assicurati all’Inps, indipendentemente dal settore d’impiego. Esclusi invece i lavoratori autonomi e quelli che versano contributi nella gestione separata. La retribuzione dovuta al donatore è quella corrispondente alle ore non lavorate comprese nella giornata di riposo.
Le testimonianze: giovani e meno giovani a confronto
“Ci vedono ancora come supereroi”
Classe 1994, Fabrizia è diventata donatrice non appena ha potuto: “Il giorno dopo aver fatto 18 anni ho deciso di iscrivermi all’Avis. Non ci ho pensato due volte e, nel giro di poco, ho aderito anche all’Aido (Associazione italiana per la donazione di organi) e all’Admo (Associazione donatori di midollo osseo)”.
Per lei donare è di vitale importanza, perché consente di raggiungere uno scopo alto che giustifica qualsiasi paura. Infatti assicura che pur di aiutare gli altri si può fare qualche piccolo “sacrificio” o affrontare timori e insicurezze. Lei stessa lo ha fatto: “Figuratevi che io sono infermiera e avevo il terrore dell’ago. A pensarci fa quasi ridere, ma sono riuscita a superare questo tipo di paura. Donare è un gesto più grande di noi e bisogna pensare a tutti i benefici e alle possibilità in più che può dare quella sacca di sangue a una determinata persona”.
Oggi, secondo Fabrizia, se i numeri dei donatori in Italia, soprattutto quelli delle fasce più giovani della popolazione, sono in calo o comunque non incontrano una crescita sostanziale, lo si deve alla mancanza di un’adeguata informazione in materia. “I ragazzi sono poco informati o addirittura totalmente disinformati: alcuni magari si fanno autodiagnosi e si convincono di non poter donare, altri sono frenati da insicurezze eccessive”. In più, dal suo punto di vista, in certe occasioni persistono anche retaggi antichi e infondati: “Sembra assurdo ma si ritiene ancora che la donazione porti con sé malattie”.
Il mancato ricambio generazionale può essere spiegato poi con il disinteresse, ripetuto e costante, per la comunità di cui si fa parte: “Quando facciamo attività nelle scuole la prima cosa che ci viene chiesta dai ragazzi è se donare sangue comporta non bere, non fumare, non farsi tatuaggi, ecc., come se la donazione venisse inquadrata solo come una perdita di tempo che toglie spazio e libertà alla vita sociale”. In realtà, evidenzia Fabrizia, “nonostante tanti continuano a vederci come supereroi, noi donatori facciamo una vita normale, senza rinunciare a nulla”.
Quando donare è come fare un regalo, agli altri e a se stessi
Damiana ha quasi 25 anni ed è la sorella minore di Fabrizia. Come lei dona da quando aveva 18 anni e con lei condivide la passione per il volontariato: oltre all’Avis è iscritta all’Aido e all’Admo.
Per Damiana decidere di donare il sangue è stata una scelta normale, quasi naturale: “È stato come voler fare un regalo, sia a me stessa sia al prossimo. Non ho avuto problemi né reticenze. In fondo, mi sono detta, ci perdo qualcosa io? No, perché una volta donato, il sangue si rigenera nel mio corpo”.
La vede così Damiana, che è però consapevole di come la cultura della donazione sia, ai nostri giorni, poco presente tra le nuove generazioni e nella società di oggi in generale. “C’è un grosso lavoro da fare per coinvolgere i giovani, ben al di là delle attività, comunque utili e proficue, di promozione tra i banchi di scuola. È pur vero che il disinteresse collettivo tende a confermarsi alto. Continua a esserci chi pensa che si va avanti senza donare, tuttavia dovrebbe ormai essere chiaro quanto anche un piccolo gesto può essere importante”.
“Donate tutti: basta poco per aiutare e salvare vite”
Andrea ha 27 anni e per lui essere donatore è un impegno che va al di là della mezz’ora dedicata al prelievo. È vicepresidente di Avis Osimo, è stato nella Consulta nazionale Avis e consigliere provinciale dell’Avis di Ancona.
Si è iscritto all’associazione da diciottenne e si ricorda ancora quel giorno: “Prima sono andato a segnarmi alla scuola guida per la patente e poi all’Avis”. La passione per il mondo del volontariato gli è venuta pian piano e, con questa, è maturato il desiderio di essere parte attiva dell’associazione.
Il problema delle reticenze e delle difficoltà delle nuove generazioni nel diventare donatori di sangue, Andrea se lo spiega in questi termini: “Noi facciamo molti progetti, partecipiamo nel concreto alla vita della nostra comunità per divulgare l’importanza della donazione che spesso viene percepita come una limitazione alle proprie libertà. Ma questo è semplicemente un mito da sfatare: noi donatori facciamo tutto, solo in modo più consapevole”. Per Andrea la sfida è dunque quella di far passare il messaggio che donare aiuta il prossimo e che non toglie nulla alla vita sociale e personale del volontario.
Nel 2019, osserva, questa sfida ha centrato in parte l’obiettivo: l’Avis di Osimo ha registrato un discreto aumento di iscrizioni da parte dei giovani. E a chi ancora è indeciso, Andrea dice: “Andate tutti a donare! Basta poco tempo da dedicare al prelievo, ma quel poco può rivelarsi necessario per salvare la vita alle persone”.
L’importanza della donazione vissuta in prima persona
Ilaria è nata nel 1989 e ha iniziato a donare a 22 anni, nel 2011, proprio quando suo padre Augusto aveva raggiunto il record nell’Avis di Osimo delle 150 donazioni: “Ho deciso di donare grazie al suo esempio e a quello di altri in famiglia. Da anni faccio parte degli scout e ho sempre avuto il desiderio di aiutare gli altri”.
Secondo Ilaria i giovani oggi peccano un po’ di ignoranza riguardo al mondo del volontariato, dal momento che non lo conoscono in toto e non provano interesse ad approcciarlo. “Ad esempio non sanno che fine fa il loro sangue – aggiunge – e si lasciano condizionare da dubbi e paure. Forse una volta c’era più senso civico e la società era sicuramente meno egoista di quanto lo è ora. È difficile far capire ai ragazzi quanto è importante fare del bene: questo è un problema che tocco con mano ogni volta con gli scout.”
Anche lei si è spesso chiesta come funziona la filiera del sangue e a cosa servono tutte le sue componenti. Ilaria soffre di pressione bassa e perciò dona sempre plasma: “Mi è capitato di domandarmi quale utilità avesse il plasma per le altre persone, finché non ne ho avuto un riscontro concreto. Una mia amica, lo scorso anno, ha avuto diversi problemi di salute ed è stata ricoverata alle ‘Torrette’ di Ancona (Azienda “Ospedali riuniti” ndr). Lì è stata curata proprio con donazioni di plasma. Ora capisco che ogni singola parte del sangue può essere fondamentale per chi ne ha bisogno”.
Il lavoro nelle scuole per combattere la disinformazione
Raoul Davide ha 26 anni e si è iscritto all’Avis a 18 anni sull’esempio del nonno materno, che ha all’attivo più di 80 donazioni: “Mi ha trasmesso questo desiderio, per me è stato motivo di orgoglio proseguire la tradizione di famiglia”. Per lui è determinante l’impegno umanitario della donazione e con tanti altri volontari svolge diverse attività di promozione a livello scolastico e sportivo, organizzando tornei e cercando il più possibile di coinvolgere la comunità.
“Fino allo scorso anno siamo andati nelle scuole medie e superiori, e i ragazzi sono subito stati molto recettivi. Noi puntiamo su di loro, che sono quasi a ridosso dei 18 anni, ma anche sui loro genitori, i quali sono già dei potenziali donatori vista la fascia d’età”.
Per Raoul Davide, grazie al lavoro nelle scuole, c’è stato un buon riscontro da parte degli studenti: “Dal mio punto di vista, soprattutto nelle piccole comunità il volontariato è più sentito e capito, ci si fa più attenzione. Diversamente può capitare nelle grandi città, più dispersive dal punto di vista sociale e dei rapporti umani”. L’essenziale, secondo lui, è far passare il concetto che “donare è gratuito e utile per lo stesso donatore, il quale così si tiene sotto controllo”.
Come per gli altri ragazzi intervistati, anche per Raoul Davide se le nuove generazioni sono considerate la fascia debole è perché dominano disinformazione e ignoranza: “Alcuni giovani non sanno nemmeno quale sia il loro gruppo sanguigno, spesso dimostrano di avere pregiudizi o hanno paura dell’ago”. Però una speranza per il futuro c’è: “L’Avis osimana riceve feedback positivi e molte adesioni, è un bel segnale che speriamo si migliori e si concretizzi sempre più giorno dopo giorno”.
Tutti possono superare la paura dell’ago
Massimiliano ha 45 anni e dona da 12 anni. È stato un suo ex collega a stimolarlo quando lavoravano insieme: “Lui era quasi un promotore e cercava di spingere tutti a provare. Poi quando sono stato in cassa integrazione, ho avuto tempo per pensare a quello che mi piace e mi sono convinto che volevo farlo. Ora mi dà soddisfazione, perché so che aiuta molte persone che si devono operare o hanno bisogno di farmaci”.
Ammette che diventa un po’ “fifone” quando vede l’ago per la donazione. Ma questa è una paura che si supera: “A chi è come me direi che quando vai a donare devi partire da casa pensando che il tuo gesto vale per gli altri. Perciò quando sei sul lettino girati dall’altra parte, tanto si tratta di 10 minuti. Tutti possiamo superare quel timore iniziale, però è fondamentale spiegare alle persone quanto è importante donare”.
Secondo lui, i giovani hanno meno costanza, “ma è normale che sia così. Quando sono a scuola vedono le campagne pubblicitarie delle associazioni di volontariato e presi dall’entusiasmo vanno a donare un paio di volte, ma poi smettono. Mentre uno che ha più di 40 anni è più maturo e quindi è anche più costante”.
Per quanto riguarda le nuove generazioni over 30, c’è stato un calo dei donatori. Probabilmente, riflette Massimiliano, “al giorno d’oggi siamo distratti da troppe cose: con il telefonino infatti riusciamo ad avere il mondo in tasca. Cinque anni fa non c’erano queste distrazioni. In ogni caso, mi auguro che la situazione attuale dovuta al Coronavirus faccia riflettere tutti e capire che è importante donare”.
In tutto questo, però, c’è da considerare la questione permessi e se i datori di lavoro sono favorevoli o meno ad avere dipendenti donatori: “Spesso sembra che il donatore voglia solo perdere tempo e sfruttare il giorno di congedo che gli spetta, mentre penso che se servisse a loro o alla loro moglie forse cambierebbero idea”.
“Donare aiuta gli altri ma anche te stessa, perché ti tieni controllata”
Irma ha 41 anni e dona da dieci. “Solo plasma e piastrine però, perché sono nata in Argentina e là c’è il rischio di contrarre la malaria. Ancora oggi, con la tecnologia, non si riesce a capire se una persona è portatrice sana o meno”. Lavora in ospedale e sa che il sangue è un bene prezioso e salvavita: “Sono sempre curiosa di vedere da dove arrivano le sacche che usiamo. E sono orgogliosa di poter dire che anche io sono una donatrice”.
Ha iniziato grazie al marito, che le ha fatto conoscere il mondo del volontariato: “Lui ci tiene molto a fare qualcosa per gli altri e mi ha trasmesso questa passione, infatti facciamo anche i volontari in ambulanza per la Croce Rossa”.
Irma apprezza molto la gentilezza del personale dei centri trasfusionali, “ti fanno sentire a tuo agio, ti trattano bene”. Lei dona perché le dà una grande soddisfazione. “Una volta che cominci poi non smetti, perché è una cosa bellissima. Bisogna solo avere coraggio e andare. Aiuti gli altri ma anche te stessa, perché ti tieni controllata e sei portata ad avere uno stile di vita equilibrato”.
Secondo lei il calo dei donatori in Italia è dovuto anche al diffondersi di fake news. “È importante – sottolinea – informarsi correttamente. Quando ho cominciato, mi è capitato di sentire donne che dicevano di non donare per la paura di avere troppo poco ferro o un ciclo mestruale troppo abbondante”.
“Donare ti permette di incontrare persone con i tuoi stessi ideali”
Giuliano ha 58 anni, ha iniziato a donare all’età di 21, ma ha smesso due anni fa “principalmente perché avevo cambiato lavoro e non avevo più tempo, lavoravo anche di sabato”. Spiega come sia difficile conciliare lavoro e donazioni: “Nelle piccole realtà è meglio andare a donare nel weekend, se si può, perché spesso il tuo capo non vuole pagarti una giornata di lavoro senza che tu ci vada. Nelle grandi fabbriche o uffici sei più protetto, agevolato. Mentre se hai a che fare con il principale direttamente, sei più in imbarazzo”.
Ha cominciato a donare dopo aver parlato con un collega più giovane, che gli ha raccontato di un gruppo Avis all’interno della loro azienda, la Cardi Spa di Verona. Gli ha spiegato che il titolare era favorevole al punto di offrire cene ai donatori e persino premi quando raggiungevano un certo numero di donazioni, in aggiunta ai riconoscimenti dell’Avis.
“Quando andavo a donare – ricorda – a volte c’erano intere classi con professori e mi è rimasta impressa una scena: un ragazzino non ha potuto donare perché pesava troppo poco e avreste dovuto vedere con che invidia guardava i suoi compagni che invece potevano farlo”. Donare, secondo lui, è anche una bella occasione per incontrare persone che condividono gli stessi ideali e valori. E poi “alle cene dell’Avis viene sempre qualche autorità che ci ringrazia. Questo ci fa sentire importanti”.
Negli anni, evidenzia, diventa un’abitudine continuare a donare sangue, come se questo “fosse quasi un bisogno fisico”. In passato, ricorda, a casa arrivavano i giornalini dell’Avis che ci aggiornavano sulle novità ma anche sulle brutte notizie: “È successo che nei centri trasfusionali buttassero via del sangue perché in eccesso. Questa cosa ha dato fastidio a molti donatori. Ora per fortuna nella maggior parte delle regioni si dona su chiamata”.
Secondo Giuliano le nuove generazioni donano di meno perché è subentrato un po’ di egoismo: “Ora c’è una sorta di mentalità capitalistica per cui è difficile immaginare di fare una cosa senza avere un ritorno economico. Spesso non basta più la sola soddisfazione morale. Avere una motivazione comunque resta indispensabile, bisogna far capire l’importanza della donazione”.
Un senso civico che si trasmette di padre in figlio
Lucio ha 60 anni e ha cominciato a donare quando ne aveva 21: “È una bella e grande esperienza, sono felice di aver trasmesso questa forma di altruismo a due dei miei figli. Loro donano tanto”. Ha iniziato “per caso”, senza alcuna illuminazione dovuta a cartelloni pubblicitari o persone care che necessitavano di trasfusioni, ma solo perché si rendeva conto dell’importanza di quel gesto. E ora ha raggiunto un numero record di donazioni: 150. “Dono perché so che la gente ha bisogno di me, del mio sangue e io voglio fare la mia parte. Mi è capitato di donare tutto: globuli rossi, plasma e piastrine”.
Non ha mai voluto smettere, anche se ha subito sei piccoli interventi e si è dovuto fermare per qualche periodo. Non ha appena ha potuto, però, ha ripreso a donare.
Sul perché le nuove generazioni siano meno generose delle fasce più grandi della popolazione, Lucio sostiene che forse a mancare è soprattutto lo stimolo di pensare agli altri: “Vogliono andare in giro a divertirsi e hanno distrazioni che un tempo non c’erano. Ai giovani direi: «Ragazzi andate a donare perché siete in salute e non avete problemi, il vostro aiuto è importante per gli altri»”.
Lucio non ha paura dell’ago, però capisce chi prova questo timore e suggerisce: “Abbiate il coraggio di provare almeno una volta, poi se proprio non fa per voi lasciate stare. Ma spesso si tratta solo di una paura iniziale. Certo, in alcuni casi dipende anche dalla bravura dell’infermiere, ma l’ago che si usa ora – assicura – dà meno fastidio di alcuni che si usavano anni fa”.