di CECILIA ROSSI e ALICE TOMBESI
URBINO – La Trasfigurazione e La Madonna dell’Impannata, due copie ottocentesche degli originali di Raffaello Sanzio, in occasione del cinquecentenario dalla morte dell’artista sono state restaurate ed ora sono esposte nel museo di Casa Raffaello a Urbino.
Crescentino Bianchini, copista romagnolo che aveva uno studio a Roma in via del Babuino, copiò nel XIX secolo la Trasfigurazione (l’originale è custodito alla Pinacoteca vaticana). Il restauro, la pulitura della vernice ingiallita dai secoli, ha restituito l’intenso gioco di luci e ombre, che dà corpo alle figure di salvati e dannati. La Trasfigurazione mette in scena una dicotomia ben sottolineata dalla scelta degli spazi. In alto Gesù, in linea con il racconto fatto da Matteo nel Vangelo: “Le sue vesti divennero bianche come la luce”, è pronto ad assurgere al cielo. In basso la sofferenza terrena di un ragazzo impossessato, a cui apostoli e genitori cercano di prestare soccorso. Nel trambusto generale, salta all’occhio l’immagine di una donna, la madre, risoluta e statuaria, avvolta da un candore speciale, sembra il tramite tra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto. È l’ultima opera a portare il nome di Raffaello, il suo capolavoro finale.
Il restauro ha anche generato dubbi sulla datazione. Fatta finora risalire al 1878, per via della data in basso a destra che accompagna la firma, potrebbe essere invece predatata di otto anni, al 1870, in virtù di un appunto sul montante sinistro che recita “Cominciata 11 agosto 70”.
Cecilia Prete, autrice del saggio “Memorie ottocentesche di Raffaello. Tre opere restaurate per il Museo della casa di Raffaello”, ritiene che si possa trattare di un’interruzione di alcuni anni che va tra l’inizio e la consegna del quadro. Ma potrebbe anche darsi che sia stata cominciata quando non aveva ancora trovato un acquirente, e sia stata firmata con la data solo all’atto della vendita. La vera sorpresa è stata il ritrovamento di motivi a finto marmo nella mondatura della cornice, del Cinquecento, che inoltre venne ridotta per accogliere la tela. Per la rivista “Raffaello” il quadro vale poco meno di 10.000 euro.
La Madonna dell’Impannata
La seconda tela, La Madonna dell’Impannata, (l’originale è custodito nella Galleria Palatina di Firenze) realizzata da Alessandro Petrini, è stata sicuramente più difficile da restaurare: “Era in un pessimo stato conservativo – sottolinea Valentina Campolucci, dell’Accademia Raffaello – gli addetti ai lavori hanno dovuto ricostruire interamente la metà inferiore del quadro”. Ancora Prete rivela che la copia, ritenuta seicentesca, è stata valutata nel 2005 per 18.000 euro.
È una scena di tranquillità famigliare: Maria mostra Gesù bambino – al centro della composizione – alla cugina Elisabetta, guardandola amorevolmente. Dietro di loro, la figura di quella che si crede sia Santa Caterina scherza col bambino e abbraccia Elisabetta. L’unico a guardare direttamente l’osservatore è San Giovannino, in fondo a destra: il suo piccolo indice spiega che l’attenzione deve essere completamente rivolta al cuginetto. L’impannata che dà nome all’opera la si trova sullo sfondo, dov’è il tipico rivestimento a base di vischio, utilizzato nelle abitazioni private quando il vetro era ancora un materiale prezioso destinato solo alle chiese e i palazzi.
Queste due opere rappresentano, seppure in parte, la produzione di Raffaello e consentono quindi al visitatore di avere uno sguardo più completo sul grande artista e testimoniano quanto i copisti si attenessero il più possibile all’originale