di BEATRICE GRECO
URBINO – Suonano le campane del Duomo per la prima volta dopo cinque anni, proprio mentre tra le mura di Casa Raffaello arriva – o meglio, torna, dopo mezzo millennio – il volto del celebre pittore. “Un segnale” scherza Luigi Bravi, presidente dell’Accademia Raffaello proprietaria del Museo della casa natale. Quella posata su un tavolino dalle gambe a sciabola, lungo il percorso del museo, è una ricostruzione 3D che parte dal calco in gesso del teschio di Raffaello, prodotto dal formatore Camillo Torrenti nel 1833, in occasione della riesumazione dell’artista, e donato al Museo Casa Natale nel 1870.
Un’opera possibile grazie ad uno “studio scientifico rigoroso” e alla collaborazione tra Accademia Raffaello, università Roma Tor Vergata e fondazione Vigamus, che si è occupata della stampa tridimensionale del volto. Un incontro che “forse nasce da Alberto Angela e della sua visita a Urbino” ironizza Bravi.
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È lui o non è lui? Il vero volto di Raffaello
Capelli lunghi, mandibola squadrata e naso prominente: Raffaello appare diverso da come siamo soliti vederlo nei suoi autoritratti. Un busto nero di polimeri plastici che ci fa capire come anche 500 anni fa si ricorresse al Photoshop dell’epoca, filtri e correzioni per apparire più belli nei selfie ante litteram. “Raffaello si ritraeva di traverso per eliminare i difetti, tendeva sempre a ringiovanirsi e a trovare il lato bello – spiega Mattia Falconi, associato di Biologia molecolare all’Università Roma Tor Vergata – misurando il volto del suo autoritratto, otteniamo le proporzioni auree, quelle della perfezione”. Ma per dimostrare la somiglianza della riproduzione 3D con il pittore urbinate, rievoca il dipinto del rivale Sebastiano del Piombo, Ritratto di uomo, che si trova a Budapest. “È un quadro dimenticato, che in realtà è la ricostruzione di Raffaello più bella che sia mai stata fatta”. Prossimo passo: “capire il colore degli occhi, dei capelli e i dati biologici” dice Olga Rickards, docente di antropologia molecolare. Un’analisi del Dna che sarà possibile portare avanti per un caso: un frammento del cranio di Raffaello rubato da un suo grande ammiratore e artista e conservato in una piccola teca di una libreria privata. “Un caso fortuito – spiega Falconi -. Quando è uscita la notizia della ricostruzione, un mio amico mi ha chiamato e mi ha detto: ‘forse ho qualcosa per te!'”.
[aesop_gallery id=”294675″ revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]Una ricerca interdisciplinare
Un lavoro di collaborazione tra biologi, antropologi e designer. E a entrare in campo per ridare un volto a Raffaello anche l’antropologia forense, una disciplina che si occupa di analizzare reperti e ridare identità a persone scomparse, ma che si applica anche con i ritratti e l’archeologia: “Il primo step è stato stabilire, sulla base di misurazioni del cranio, sesso e età e solo dopo è stata possibile la ricostruzione tridimensionale. La metodologia è rigorosa” ha detto Cristina Martinez-Labarga, docente a Tor Vergata. “Siamo partiti dalle foto del cranio, che abbiamo fatto qui a Urbino. La tecnica è semplice ma estremamente scientifica” ha aggiunto Valeria Ridolfi, neolaureata in Biologia evoluzionistica, ecologia e antropologia applicata con la tesi Ricostruzione 3D del cranio di Raffaello Sanzio: dal cranio al volto di un dio mortale. L’elaborazione su computer e la riproduzione con stampante 3D è stata realizzata in collaborazione con Raoul Carbone, presidente della fondazione Vigamus e docente di grafica applicata all’antropologia forense all’università romana.
Le spoglie di Raffaello: un mistero (quasi) risolto
Una ricerca che “permette di vedere com’era Raffaello quando è morto” e che sembra chiudere il mistero legato allo sue spoglie, conservate nel Pantheon a Roma. Lì la sua tomba, in cui, nel 1833, era stato ritrovato, insieme a molti altri, uno scheletro intero, che venne analizzato dal medico e anatomista Antonio Trasmondo e riconosciuto come appartenente al pittore urbinate. “Dopo questa ricostruzione, siamo sicuri all’ 85% che il teschio di cui abbiamo il calco sia di Raffaello” afferma Falconi. “Ora speriamo di avere altre risposte dall’analisi del Dna del piccolo frammento. Perché, si sa, da queste analisi si può avere tutto o si può non trovare niente” conclude Rickards.