di CECILIA ROSSI
URBINO – Quando è nato il corso di Informatica all’Università di Urbino, nel 2001, il primo laboratorio era composto da 30 personal computer Olivetti. Nel 2020, quando la pandemia ha costretto tutti a chiudersi in casa, l’Ateneo urbinate si è dimostrato tra i più pronti con la didattica a distanza. Celebra 20 anni il corso di Informatica applicata dell’Università di Urbino ‘Carlo Bo’. Ieri i festeggiamenti al Collegio Raffaello insieme a quei professori e ricercatori che hanno lavorato alla sua nascita e a quelli che oggi portano avanti questa eredità.
E se nell’autunno del 2001 si inaugurava il primo corso di laurea triennale, questo settembre partirà il primo corso magistrale, incentrato su temi di attualità come machine learning, internet of things, big data e cybersecurity.
L’occasione e il lavoro di squadra
Marco Bernardo è stato il primo presidente del corso di Informatica. Oggi ricorda con un sorriso quel lontano 2001: “Abbiamo colto un’occasione. Non c’erano ancora corsi del genere qui in zona. Io e gli altri colleghi che hanno intrapreso questo progetto, allora, eravamo dei giovani professori, io in particolare avevo 31 anni ed ero appena entrato all’Università di Urbino come associato. È stato un mix di entusiasmo e di incoscienza a darci la giusta spinta”.
Non è stato facile all’inizio. “Il percorso che ci ha portato fino al corso come lo conosciamo oggi è stato lungo e impegnativo. Essenziale è stato l’aiuto di due miei colleghi, Alessandro Bogliolo e Alessandro Aldini. Il lavoro è cominciato nel 2000, grazie ad una commissione istitutiva a cui presero parte professori di altri atenei, dove abbiamo dato vita al progetto formativo. Ma non finiva lì: era necessario curare le attività di ricerca, la terza missione, il contatto con le aziende del territorio. La sinergia di tante menti ci ha permesso di fare tutto”.
Risultati concreti
In poco tempo, però, gli sforzi si sono concretizzati con l’arrivo del primo laboratorio informatico dell’Ateneo. “Si trovava al piano terra del Collegio Raffaello e divenne operativo nel dicembre del 2001. Era composto da 30 personal computer Olivetti, configurati in dual boot, sia Linux che Windows. Per noi era importante esporre i nostri studenti al maggior numero possibile di scenari tecnologici, sia open source che private”.
Numerosi i contributi per l’innovazione dell’Ateneo, come l’installazione delle piattaforme Moodle nel 2015, le stesse che hanno permesso di passare immediatamente alla didattica a distanza nel febbraio del 2020. “Siamo stati i primi di Italia a implementare la Dad quando ce n’è stato bisogno. L’innovazione che sperimentiamo è sempre stata al servizio dell’Università”.
L’esperienza dei laureati
Bernardo si ritiene particolarmente soddisfatto quando parla degli studenti e studentesse del suo corso. “La parte più bella dei festeggiamenti è stata ascoltare le esperienze dei nostri laureati. Chi esce da Informatica applicata lavora a poca distanza dal conseguimento del titolo e lo fa nei settori più disparati: come consulenti, in azienda, da free lance. Ci hanno anche dato un suggerimento: puntare sul lavoro di gruppo all’università, perché é quello che conta nel mondo del lavoro”.
Bit ‘umanistici’ ma poche donne
Vincenzo Fano, presidente della Scuola di Scienze, Tecnologie e Filosofia dell’informazione, racconta a Il Ducato il vero punto di forza della facoltà. “Il corso che si tiene ad Urbino presenta una particolarità unica, in Italia: elementi umanistici e scientifici che si intrecciano fra loro. Ho molto apprezzato l’apertura che ha avuto la Scuola, tre anni fa, nel scegliere come presidente un filosofo della scienza come me. Qua vogliamo dare una visione culturale dell’informatica”.
Ma non nasconde nemmeno i punti deboli. “C’è sicuramente un problema, che potremmo definire una malattia cronica, in questo tipo di corsi: mancano donne e ragazze. Il divario di genere è ancora grande, sia tra gli studenti che tra i docenti. Ma noi vogliamo che sia una scuola veramente per tutti. L’informatica non è solo una tecnica, è soprattutto uno strumento per essere consapevoli del mondo altamente tecnologico che ci circonda”.