Di ALICE TOMBESI
URBINO – Davanti un pomeriggio pieno di impegni, alle spalle le ore passate a insegnare a scuola, nel mezzo un pranzo veloce che occupa lo spazio dell’intervista. La vita di Stefania Auci, autrice del caso letterario I leoni di Sicilia, si snoda tra due realtà tanto diverse quanto inseparabili. Per lei, infatti, il tempo dedicato alla scrittura non è diverso da quello che trascorre in classe: insegnare e scrivere romanzi sono facce della stessa medaglia. Nata a Trapani nel 1974 e trasferitasi a Palermo, nel 2019 Auci emerge nel panorama culturale italiano con il suo I leoni di Sicilia, romanzo storico ambientato nell’Ottocento e pubblicato dall’Editrice Nord, che racconta le vicende della famiglia Florio, sbarcata a Palermo da Bagnara Calabra in cerca di fortuna.
La storia di due fratelli, Ignazio e Paolo, è una fotografia dell’Italia dell’epoca. Sulle loro ambizioni, i due Florio costruiscono un’impresa di famiglia: aprono una bottega di spezie, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni, creano una compagnia di navigazione. A un certo punto a loro subentra Vincenzo, figlio di Paolo, e la famiglia Florio cresce ancora di più. Con oltre 700 mila copie vendute e 40 ristampe, I leoni di Sicilia è il romanzo più letto degli ultimi anni, da cui la Rai fiction intende trarre una serie televisiva. A maggio del 2021 è uscito il secondo capitolo della saga dei Florio, L’inverno dei leoni , già alla quinta ristampa. Stefania Auci terrà la lectio magistralis che aprirà la nona edizione del Festival del Giornalismo culturale, a Urbino dall’8 al 10 ottobre.
Qual è stato il motivo di tanto successo de I leoni di Sicilia ?
È una domanda che mi fanno tutti e la mia risposta è sempre quella: non lo so. Sono tante le risposte differenti che ho avuto da parte dei lettori, trovare un unico motivo è impossibile. C’è chi è rimasto affascinato dalla lingua, chi dalla storia, chi dalle figure femminili; così come c’è chi mi dice che l’ha trovato troppo tecnico o prolisso. Alla fine credo che rientri tutto nell’alchimia che si instaura tra lettore e libro.
Prima di scrivere, il lavoro di documentazione storica è stato lungo e complesso. Perché, alla fine, ha scelto la famiglia Florio?
Ho scelto loro perché qui in Sicilia è una famiglia molto amata ma anche iconica. A Palermo ci sono tantissime testimonianze del loro passaggio, soprattutto a livello architettonico, come il Teatro Massimo e pure tutta una serie di altri edifici. C’è davvero questo legame molto forte.
Oltre ad essere una scrittrice è anche insegnante di sostegno a scuola. Come inserisce la passione della scrittura nella vita quotidiana e dove trova l’ispirazione?
Sono due carriere che procedono di pari passo, quasi speculari. L’ispirazione non esiste: per me scrivere è raccontare una storia cercando di essere il più professionali e completi possibili. Se uno si siede aspettando che arrivi l’ispirazione non arriverà. La scrittura è una forma di lavoro, un lavoro che ti piace.
Anche se ambientato nell’800, il racconto della famiglia Florio ha messo al centro temi attuali: la necessità di trasferirsi altrove per cercare fortuna e la sensazione di sentirsi eterni stranieri, l’importanza della famiglia e l’ambizione a guardare lontano per crearsi, e non trovarsi, un lavoro. Crede che le parole sui social e i messaggi che vengono lanciati oggi abbiano lo stesso ruolo?
Il social per natura è molto veloce e quindi utilizza un linguaggio differente e un codice linguistico con un peso delle parole differente. Il libro ha un peso specifico maggiore. Il social è volatile e lascia più spazio a emozioni che non sono filtrate a differenza del libro dove tu devi filtrare le parole e le emozioni. Si tratta di metodi e di tipi di comunicazione differenti.