di MARIA ELENA MARSICO
URBINO – “Sono andato all’ospedale oncologico di Leopoli dove sono ricoverati 38 bambini che lottano per la vita. A ogni suono di sirene vengono portati nel bunker. Medici, infermieri e familiari fanno sette rampe di scale per andare giù, anche tre volte al giorno. Il medico, di 38 anni, che gestisce il reparto mi ha mostrato gli scantinati dove hanno allestito le sale per la chemioterapia”.
La visita all’ospedale ha lasciato sgomento l’inviato del Tg1 Giuseppe La Venia. “La guerra è ingiusta a tutti i livelli, ma quando colpisce i bambini, le fasce più deboli, allora la percepisci ingiusta il quadruplo”, spiega al Ducato il giornalista. E aggiunge che l’ospedale oncologico viene sostenuto da Soleterre, un’organizzazione non governativa italiana. “Sono molto orgoglioso di quello che fanno gli italiani in questo Paese”.
INVIATI DI GUERRA – Con elmetto e taccuino. “Così raccontiamo l’invasione russa”
“In piazza le donne tessono teli mimetici”
La tensione a Leopoli cresce sempre di più. In questa città, a Ovest dell’Ucraina, che conta circa 717 mila abitanti, si sono trasferite quasi tutte le ambasciate che prima dell’attacco avevano sede a Kiev. “La situazione qui è diversa rispetto a quella che si vive nella capitale ma bisognerà capire cosa accadrà da qui a poco – racconta La Venia – Per strada ci sono code di persone che si arruolano, ci sono anche i manifesti che invitano la popolazione a vestire i panni da militare. In tv ci sono, poi, costanti richiami al patriottismo. È un popolo che sente minacciata la propria esistenza, è questo che percepiamo”.
A Leopoli i bombardamenti non sono ancora arrivati ma è come se tutti fossero pronti per quello, spiega. “Barricate a ogni angolo, strade presidiate da civili e da militari e in pieno centro ci sono un centinaio di donne che tessono teli mimetici”, racconta il giornalista che prima di arrivare a Leopoli, una settimana fa, si trovava al confine con la Polonia. L’obiettivo era raccontare cosa accadeva alla frontiera, quindi i primi profughi che arrivavano dall’Ucraina: “Molti venivano da Kiev con poche valigie e buste di plastica. Con quello che riuscivano a portare. E c’erano tanti bambini. A un varco di frontiera, poi, ricordo una coda di auto lunga circa 15 chilometri con persone che aspettavano da ore di poter oltrepassare il confine”. Una delle poche cose che portano con sé, però “è la speranza di mettersi in salvo, di salvare i propri figli”.