di Sara Spimpolo
URBINO – Un anno e cinque mesi di reclusione. È la pena chiesta dalla Pm Irene Lilliu nel processo a carico di R.C., accusato di molestie sessuali ai danni di due ragazze minorenni, che all’epoca dei fatti avevano 13 e 14 anni.
L’imputato, in rapporti di vicinanza con le due giovani – entrambe amiche della nipote, e una di loro figlia della sua convivente -, avrebbe in più circostanze palpeggiato le ragazze.
Nel primo dei fatti imputati, accaduto nell’estate del 2016, l’uomo avrebbe attirato a sé la figlia della convivente, facendola sedere sulle sue ginocchia e toccandole il sedere. La ragazza ha raccontato di essersi alzata e di essersi chiusa in camera, sconvolta. La prima cosa che ha fatto è stata indossare una felpa, pensando che il suo abbigliamento estivo (pantaloncini e canottiera) avesse istigato l’uomo. “Una reazione – ha detto la Pm nel corso del processo – comune alle vittime di violenza sessuale”.
In un altro episodio, l’imputato le avrebbe messo le mani sul sedere per spingerla in camera dal corridoio. Quando la ragazza ha raccontato i fatti al fidanzato, non è stata creduta: le è stato detto che forse aveva equivocato.
All’altra amica della nipote, l’uomo avrebbe fatto cenno di avvicinarsi, senza parlare, mettendole la mano sotto la gonna fino al sedere. Le ragazze hanno raccontato in tribunale – in udienze precedenti a quella di oggi – di essere consapevoli che fossero comportamenti anomali, ma di non averli denunciati subito perché colte impreparate. Il processo è infatti iniziato su denuncia del padre di una delle giovani (costituitosi poi parte civile) al quale la figlia aveva raccontato tutto.
Secondo la Pm, l’imputato ha giocato le sue azioni proprio sull’ambiguità e sull’equivoco che poteva derivare da un rapporto di vicinanza e confidenza con le due giovani. “Un’azione subdola – ha detto nel corso del dibattimento – che previene la manifestazione di dissenso da parte della persona offesa”. “Ma ciò che va messo in evidenza – ha continuato la Pm – è che le dichiarazioni della persona offesa quando si tratta di reati sessuali non hanno necessità di verifiche esterne. Anzi, la Cassazione ritiene che possono anche valere le confidenze rese a terzi dalla vittima in tempi non sospetti”. Come è avvenuto in questo caso.
Le ragazze infatti si scambiavano confidenze sull’accaduto, tra di loro e poi con i rispettivi genitori. Sempre secondo la Pm, l’amicizia con la nipote dell’imputato avrebbe reso ancora più difficile la denuncia, trovandosi le giovani in una situazione emotiva molto difficile.
Per la difesa, invece, non ci sono elementi solidi su cui fondare la condanna. Contestando l’approssimazione circa le date degli eventi, e il fatto che la denuncia non sia partita dalle ragazze, bensì dal padre di una di loro, la difesa ha chiesto in prima istanza l’assoluzione e in seconda istanza il minimo della pena.
Il 18 maggio ci sarà una nuova udienza, per eventuali repliche al dibattimento e per la lettura della sentenza.