di SARA SPIMPOLO
con la collaborazione di MARIA ELENA MARSICO ED EMILIA LEBAN
URBINO – È uno scenario disastroso quello che emerge dall’ascolto delle realtà di ristorazione del territorio di Urbino. Il settore del cibo, già duramente colpito da due anni di pandemia, dall’assenza di turisti e da un più recente aumento dei costi dell’energia, sembra aver subito il colpo di grazia a causa degli effetti economici della guerra in Ucraina. Dall’olio di girasole per i dolci alla farina per le piadine, dal cartone usato per gli imballaggi a carni e verdure gratinate: il prezzo è aumentato per ogni cosa. I costi delle utenze sono saliti di oltre il 50% già da prima della guerra, e alcune materie prime sono diventate difficilmente reperibili a seguito del conflitto.
L’olio introvabile
Tra tutte, l’olio di semi di girasole, “introvabile”, spiega Mattia del ChickNfries di Urbino, che lo usa per friggere i suoi polli. C’è chi, come Alexa Magnani, titolare della pasticceria Ducale, non ha abbastanza spazio in magazzino per fare scorte di olio, e sarà costretta ad acquistarlo a un prezzo più alto in futuro. E chi, come la pizzeria il Buco, ha iniziato a usare quello extravergine d’oliva, che ora costa due volte in meno di quello di semi. “È arrivato anche a quattro euro al litro” spiega Pio D’Antuono di Peccati di gola, “e non si può sostituire, perché l’alternativa per i dolci sarebbe quello d’arachidi, al quale però molti sono allergici”.
Burro, uova, cartone, trasporti: un aumento dei costi generalizzato
I pasticceri di Urbino si trovano in difficoltà anche per l’aumento di altre materie prime: il burro, arrivato a tre euro al chilo, la margarina, a 1,20 e le uova, “che subiscono la maggiorazione dei cartoni nelle quali sono imballate”, spiega Magnani. Un rialzo che conferma anche Andrea Bergamo, della pizzeria Belin che Buono: “Vassoi, veline, posate hanno subito un incremento, così come la farina, la mozzarella e le verdure sott’olio. E c’è da dire che il prezzo è aumentato ma la qualità si è ridotta”. “Se registravamo un aumento sulle materie prime già da settembre, con la guerra abbiamo assistito a ulteriori rincari, soprattutto su farine e carni”, dice Luca Sartore, titolare del ristorante pizzeria Amici miei. “I fornitori di alcolici ci hanno detto che a breve ritoccheranno anche i loro listini a causa dell’aumento del costo del trasporto”. Ed è proprio l’aumento dei costi del trasporto che genera la maggior parte dei rincari sulle materie prime. Giovanna Canfora, titolare dell’Osteria Km 0, si fa arrivare da altre parti d’Italia porchetta, formaggi, farina e uova per le sue piadine. “E i costi dei trasporti – dice – sono aumentati del 20%”. I rincari di gas e benzina generano anche ritardi per le consegne, “dovuti soprattutto allo sciopero dei camion”, spiega Giuseppe Portanova, proprietario dell’omonimo ristorante di Urbino. “Le componenti elettroniche per le attrezzature della cucina sono introvabili o arrivano a distanza di 4 o 5 mesi” dice Sartore di Amici miei. “Se ordino qualcosa ora, mi arriva il prossimo settembre”.
Bollette triplicate: “cambiamento epocale”
A complicare lo scenario causato dalla guerra, l’aumento generalizzato delle utenze, che coinvolge tutte le attività. Un effetto precedente allo scoppio del conflitto, che però si aggiunge alle altre difficoltà di questo periodo. “A gennaio-febbraio 2021 la bolletta della luce ammontava a 421 euro – racconta D’Antuono di Peccati di gola – nello stesso periodo un anno dopo è arrivata a 1136 euro”. Come Riccardo, il titolare del Buco, che è passato dal pagare l’energia 700 euro ad agosto a quasi 1300 a ottobre. Anche Canfora, di Km 0, ha ricevuto una bolletta triplicata. “Ma il mio consumo è lo stesso”, dice, e aggiunge: “Il cambiamento che stiamo vivendo ha qualcosa di epocale, come quando siamo passati dalla lira all’euro”. Ma il peso della bolletta non si fa sentire solo sui ristoratori. E spinge le persone a stare più attente alle spese, stringere la cinghia. “La gente spaventata esce meno e spende il minimo indispensabile”, dice Sartore di Amici miei. “Se prima si permetteva due o tre uscite settimanali ora esce una volta nel weekend, e magari prende una pizza o un piatto unico per spendere meno”. Rispetto a febbraio, il titolare della Trattoria del Leone, Mauro Luciani, ha registrato “un minor afflusso di turisti stranieri. E meno spensieratezza, meno voglia di uscire”.
Tentativi di sopravvivenza e paura di chiudere
A questi forti disagi le attività di ristorazione stanno rispondendo come possono. C’è chi ha già dovuto aumentare i prezzi di qualche centesimo – come Silvia e Giacomo de L’Aquilone, costretti a far pagare una maggiorazione sugli ingredienti gratinati nelle loro piadine, perché usare il forno comporta oggi dei costi in più – e chi sarà costretto a farlo a breve, come Carla Bassetti e Adriano Balamos del ristorante Magna Grecia, che importano dalla Grecia prodotti il cui costo si è alzato, e si dicono costretti a rivedere i propri pezzi “per sopravvivenza”. E per sopravvivere c’è chi è stato costretto a diminuire il personale. Come Carfora di Km 0, che dice “faccio tutto io per non incidere sul cliente”, o come Mario Romano, di Botanic sushi, che ha avviato l’attività solo due anni fa, poco prima della pandemia, e che ora non sa quanto ancora potrà restare aperto. “Dal Giappone la merce non ci arriva – dice – i fornitori sono a secco dall’inizio della guerra, e la clientela è diminuita del 70%. Ho dimezzato lo staff ma non so quanto rimarremo aperti qua, siamo inguaiati”. Una paura che purtroppo lo accomuna con Leonardo Cartolari, dell’omonima pasticceria. “Mi chiedo se saremo costretti a chiudere”, dice. “La materia prima è rincarata, non arrivano più i prodotti. Non oso pensare a cosa farò domani”.