di BEATRICE GRECO e ROSSELLA RAPPOCCIOLO
URBINO – Un viaggio interiore tra passato e presente. È questo il filo conduttore del film Amore molesto del regista Mario Martone, tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante. È stato proiettato al cinema Nuova Luce di Urbino e fa parte della rassegna cinematografica Sguardi sulla violenza di genere organizzata dal Comitato unico di garanzia per le pari opportunità dell’Uniurb, che dedica il mese di aprile alla storia delle soggettività Lgbt+.
A presentare il lungometraggio del 1995 è Andrea Laquidara, regista e collaboratore Uniurb, che esordisce: “Martone con questo film riesce a sovrapporsi allo sguardo della donna che racconta”. La protagonista è Delia, interpretata da Anna Bonaiuto, una donna irrisolta costretta dagli eventi a tornare nella sua città, Napoli.
Un cammino alla riscoperta della madre e di sé
A richiamare Delia, è la morte improvvisa e poco chiara della madre, Amalia. Non convinta del suicidio, la protagonista decide di indagare sul passato recente della madre, alla ricerca di un assassino. Ricostruisce con fatica i suoi ultimi giorni e, nel farlo, si trova a ripercorrere episodi di se stessa bambina. Episodi che Delia aveva voluto sotterrare nella propria memoria, dando loro un significato altro, a volte stravolto.
Ricorda di quando, condizionata dall’atteggiamento del padre geloso e violento, aveva rotto i rapporti con la madre, accusata dal coniuge di una relazione clandestina con il vicino di casa. Riporta alla mente anche quell’episodio che fu la causa di tutto: la molestia subita da bambina. Una vicenda mai denunciata completamente.
“Quella di Delia è una personalità che appare censurata, ma dall’interno. Questo atteggiamento è pericoloso perché può essere scambiato come un atto di libertà” ha detto Laquidara prima dell’inizio della proiezione.
“Mamma non era una zoccola, eri tu che mi avevi fatto pensare che lo fosse” è l’ammissione finale che la protagonista fa di fronte al padre, iniziando a riscoprire il rapporto con la madre e, con questo, il rapporto con se stessa e la sua femminilità.
Rosso e blu aprono il dibattito
Tra le poltrone una trentina di spettatori. Alla fine della proiezione restano in silenzio, riflettono, tentennano. Poi sono i colori dei vestiti di Delia a fare partire il dibattito in sala. Nella ricerca di se stessa la protagonista passa da un vestito rosso molto sensuale, con il quale riscopre la sua femminilità, a uno blu, che apparteneva alla madre. Secondo alcuni spettatori i due colori sottolineano il cambio di passo del film e la presa di coscienza della protagonista. Ma per altri questa interpretazione è un cliché sulla femminilità.
Il significato profondo della storia mette d’accordo tutti. “È un ritorno per il lutto, quello di Delia, che è anche una sorta di espiazione della colpa per la molestia subita” dice una ragazza alla fine della proiezione. “Ma alla fine si riappropria della sua identità” le risponde un’altra spettatrice. Chiude il dibattito Laquidara: “La bellezza di questo film è che attraversa la complessità senza semplificarla”.