di ALICE TOMBESI, SARA SPIMPOLO e ROSSELLA RAPPOCCIOLO
URBINO – A marzo, Urbino non ha visto cadere una goccia di pioggia per 22 giorni consecutivi. Segnale, quello di una primavera siccitosa, annunciato anche da gennaio e febbraio: 32 giorni senza acqua. Le precipitazioni alla fine sono arrivate accumulandosi in pochi giorni: “Sono state come l’acqua santa” dice Maurizio Pagnanelli, imprenditore agricolo e agente del Consorzio agrario adriatico. Danno respiro ai raccolti ma non lasciano il tempo al terreno di assorbire l’acqua in profondità e ricaricare le falde più profonde. Ed è a queste che ci si rivolge sempre più spesso nei periodi di siccità. Basti pensare al pozzo del Burano, 300 metri in profondità tra Cagli e Cantiano. Al problema della siccità si aggiunge quello della dispersione idrica, nelle tubature di Urbino come nelle dighe di San Lazzaro e Tavernelle: secondo il report dell’Osservatorio cittadinanzattiva, nella provincia di Pesaro Urbino nel 2020 le perdite di acqua sono state del 40,6%. La situazione nelle Marche non è critica come quella di altre regioni: in Emilia Romagna piove meno che in Israele, scrive la Cia (confederazione italiana agricoltori).
Allarme siccità. Gli agricoltori: “Siamo in difficoltà”
Nei primi tre mesi del 2012 piovevano a Urbino 410 millimetri d’acqua. Dieci anni dopo, nello stesso periodo ne sono piovuti 154, secondo i dati dell’Osservatorio Serpieri. E questo trimestre non è stato nemmeno il più secco: nel 2021 sono caduti 140 millimetri e 108 l’anno prima. Spesso le piogge si concentrano in poco tempo, come è successo lo scorso marzo quando sono caduti 40 millimetri in quattro giorni, ma “le precipitazioni brevi e intense sono spesso più dannose della siccità”, afferma Piero Paolucci del Serpieri. Per gli agricoltori, che consumano più della metà dell’acqua dolce disponibile, il problema è serio. “Non credo che l’annata sarà buona” dice Alceo Vedovi, titolare di un allevamento nell’urbinate, a cui fa eco Tiziano Migiani, del gruppo Saltarelli e Migiani: “La pioggia dei giorni scorsi ci ha tirato un pò su, ma perché la situazione nei campi si riallinei dovrebbe ripiovere tra massimo quindici giorni e soprattutto durante l’estate”. Mentre aumentano i costi per irrigare, al lavoro degli agricoltori non corrisponde un raccolto equivalente. “Non c’è umidità nel terreno – continua Vedovi – perché la pioggia non scende in profondità e senza umidità la coltura non cresce bene”. Negli ultimi tre anni, spiega l’agricoltore Gianfranco Cancellieri, titolare di un’azienda agricola che produce cereali, “le stagioni sono completamente alterate”. È lontano il ricordo del ‘nevone’ del 2012, quando nel solo febbraio caddero 318 centimetri di neve. Quest’anno, 20.
GUERRA IN UCRAINA – L’impatto sugli agricoltori di Urbino
Se a fare acqua sono le tubature…
E mentre nei campi diminuisce l’acqua, a Urbino se ne disperde molta. È la rete di distribuzione, sono le tubature che arrivano al rubinetto di casa, a essere un colabrodo. Almeno secondo i dati Istat del 2018, per i quali il 58,3% dell’acqua veniva dispersa. “Nel 2007 abbiamo ereditato da Megas reti vecchie realizzate cinquanta o più anni fa” afferma Mauro Tiviroli, amministratore delegato di Marche Multiservizi, l’ente che gestisce le tubature. “Sostituire ogni chilometro costerebbe 100 mila euro e a Urbino abbiamo circa 500 chilometri di rete”. Fare questo tipo di lavori “comporterebbe incidere sulle tariffe dei consumatori” dice Michele Ranocchi, dirigente dell’Aato1, l’Assemblea di ambito territoriale ottimale. Secondo i dati dell’Osservatorio Prezzi&Tariffe di Cittadinanzattiva, la provincia di Pesaro Urbino è già quella in cui si spende di più nelle Marche (e tra le prime dieci in Italia), con una spesa media di 663 euro nel 2021 per 192 metri cubi d’acqua: un aumento del 2,8% rispetto al 2020. Marche Multiservizi non è d’accordo: “I confronti a livello nazionale – dice Tiviroli – fanno riferimento a un ipotetico scenario, mentre noi sappiamo che il consumo medio di una famiglia nelle Marche è tra i 112 e i 115 metri cubi d’acqua, meno del dato usato come parametro. Il costo medio delle bollette, quindi, è di 130 euro”.
I PROBLEMI DELLA RETE – Quasi il 60% di acqua si disperde nelle condotte
Depurazione: “Prima solo il 40%, ora il 100% a Urbino”
Fino a un anno fa, poi, Urbino mancava di un efficiente sistema di depurazione, tanto da essere inserita nella lista dei centri urbani soggetti a sanzione dell’Unione Europea per mancato filtraggio delle acque reflue prima dello scarico. “Sei anni fa la depurazione dei reflui era del 40%, oggi si attesta al 100% grazie a un nuovo depuratore installato nella zona Braccone” dice Ranocchi. “Un intervento che – afferma Tiviroli – è rientrato nei quattro milioni che abbiamo investito nell’apparato di fognazione grazie ai quali siamo riusciti a uscire dall’infrazione comunitaria”.
Allarme fiumi e sorgenti
Mancanza di coordinamento e inesistenza di un sistema unitario di gestione: questi gli ulteriori aspetti da tenere in considerazione quando si parla di siccità nelle Marche. Per l’avvocato Claudio Netti, presidente del Consorzio di bonifica regionale “il sistema è rimasto sostanzialmente quello del dopoguerra quando l’approvvigionamento veniva dai corsi principali o dalle sorgenti”. È ancora così, ma c’è una differenza: la portata dei fiumi non è più la stessa. Dai dati elaborati dall’Anbi (Associazione di bonifica e irrigazione), quella il Candigliano, affluente del Metauro, è passata da contenere 77 metri cubi a inizio aprile 2018 ai 10 dello stesso periodo del 2022. “Tutte le sorgenti delle aree interne ci stanno dando segnali pericolosi – è l’allarme di Tiviroli – quella che alimenta l’acquedotto Nerone, che rifornisce Urbino, è diminuita del 40-42% negli ultimi otto anni. Significa che tra dieci potrebbe non esistere più”. E quando l’acqua in superficie viene a mancare, si ricorre alle falde acquifere sotterranee, “che però sono state poco studiate” dice Piergiorgio Fabbri, ex consigliere regionale e geologo.
La salvezza è il pozzo del Burano. Ma per quanto ancora?
Tra Cagli e Cantiano, a trecento metri di profondità, il pozzo del Burano scarica 300 litri d’acqua al secondo, alimentando tre dighe in provincia gestite dall’Enel: Furlo, San Lazzaro e Tavernelle. A questo pozzo si ricorre in periodi di estrema crisi idrica. “Uno scenario – spiega Stefano Aguzzi, assessore regionale con delega alle risorse idriche – che anni fa si presentava a cadenza decennale e ora ogni anno”. Nel 2021 la Protezione civile lo ha aperto per un mese. “Non è più emergenza, è normalità” dice il sindaco di Cantiano, Alessandro Piccini. Non possiamo sapere con sicurezza se la prossima estate verrà riaperto, ma secondo Aguzzi è possibile.
Per Fabbri il problema sta nell’assenza di studi rispetto a quanta acqua contiene il pozzo: “Anni fa si riempiva in 12-16 anni, quindi se ne tiriamo fuori troppa e non piove più come prima, non ha il tempo di ricaricarsi. Sappiamo che la pressione è già diminuita e gli studi dicono che continuerà a scendere perché la tipologia di piogge attuali non favorisce l’infiltrazione in profondità”. Lo conferma Giuseppe Dini, coordinatore regionale del Wwf: “Da una pressione di 300 atmosfere si è passati a 19”.
Dighe non pulite, capienza dimezzata
Bisogna poi considerare che l’acqua del pozzo, prima di essere riversata nel fiume Burano, sarebbe potabile. Ma una volta finita nell’affluente, viene contaminata e deve subire un successivo processo di potabilizzazione “che alza il costo delle bollette di quasi 40 centesimi al metro cubo”, spiega Tiviroli di Marche Multiservizi. “Come unione montana del Nerone – continua Piccini – lo scorso ottobre abbiamo già presentato alla Aato le soluzioni da intraprendere: prima di ricorrere al pozzo, bisognerebbe sistemare le reti e pulire gli invasi. Con la pulizia della sola diga del Furlo, recupereremmo più di un milione di metri cubi d’acqua”. Le dighe, infatti, hanno dimezzato la loro capienza perché colme di fanghi, argille e detriti che ne hanno riempito il fondo. “Della loro pulizia, si dovrebbe occupare l’Enel – spiega Aguzzi – e la Provincia dovrebbe individuare il luogo dove portare i fanghi, ma non lo fa”. Non si conosce poi, la natura di questi fanghi, che potrebbero essere inquinati. Lo confermano Fabbri e Piccini, mentre nega Francesco Bocchino, funzionario della Regione per il settore idrico: “Lo sfangamento di San Lazzaro e Tavernelle è stato fatto qualche anno fa”.
La proposta: una rete di piccole dighe
Tra le opinioni su come migliorare il sistema, oltre alla pulizia degli invasi, per Ranocchi sarebbe utile anche trovarne di nuovi. Fabbri conferma: “Ultimamente si sta pensando di costruire una grande diga nell’entroterra o tante piccole, come previsto dal Progetto acqua di Urbania”. Per Aguzzi occorrerebbe anche lavorare sull’immagazzinamento dell’acqua in inverno: “Come Regione metteremo a disposizione 10 milioni per il risanamento delle reti idriche. Realizzerò un bando in merito non appena arriverà l’approvazione del Pnrr”. E proprio il Piano nazionale di ripresa e resilienza potrebbe rappresentare una buona opportunità per risolvere i problemi del territorio, e trasformare le proposte sul tavolo una realtà concreta.