Le false credenze da sfatare per comunicare i cambiamenti climatici

di GUGLIELMO MARIA VESPIGNANI

URBINO – Per raccontare meglio gli sconvolgimenti del clima, e sensibilizzare l’opinione pubblica, bisogna sfatare false credenze, nelle quali, spesso, cadono anche i giornalisti. L’incontro “Cambiamenti climatici: il peso del singolo, della comunità e dell’informazione” organizzato dall’Università di Urbino e dall’Ordine dei Giornalisti delle Marche nell’Aula magna del  Rettorato di Via Saffi ha evidenziato il peso della correttezza e della precisione nella comunicazione scientifica. Se non ci fossero state una guerra e una pandemia, dovrebbe essere il tema predominante nelle cronache quotidiane.

“La responsabilità e il ruolo che ricoprono i media in questo senso sono determinanti per le scelte di oggi e per il futuro del pianeta” ha affermato Teresa Valiani, giornalista e coordinatrice del convegno che presenta gli ospiti e lascia, prima dell’inizio delle relazioni, la parola al rettore Giorgio Calcagnini per i saluti. “Un compito – dice Calcagnini – che in questo caso per me è molto semplice: il nostro corpo docente si sta occupando da tempo di questo tema, e il fatto di ospitare questo incontro dimostra la sensibilità che questa università ha nei confronti delle generazioni future”.

Il grafico mostra la differenza tra le temperature medie attuali e quelle del periodo 1981-2010

Sfatare i miti per trovare soluzioni

All’apertura della relazione del professore di fisica dell’atmosfera e climatologia Umberto Giostra, le persone presenti e le decine di giornalisti collegati da tutta Italia si trovano di fronte a un inizio piuttosto sorprendente: “Una serie di miscredenze permeano le opinioni comuni sul cambiamento climatico: la Terra non soffoca per le emissioni, sta benissimo, e ha superato sconvolgimenti ben peggiori. È la vita umana sul pianeta che è a rischio, e benché l’estinzione della specie sia comunque improbabile, nel giro di poco potremmo trovarci a non poter più vivere come abbiamo fatto finora”.

Giostra cita i dati dell’ultimo rapporto (datato 2021) dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Iccp) e si concentra sulla differenza tra i fattori in campo nel cambiamento climatico, e sulle loro conseguenze. “Esiste una correlazione sbagliata – spiega Giostra – nell’immaginario comune tra particolato atmosferico e surriscaldamento del pianeta, che è uno dei principali miti da sfatare. Le polveri sottili (Pm10, 5, 2 e 1) sono prodotte dagli aerosol, agenti che invece che riscaldare il pianeta, lo raffreddano. Queste polveri rimangono, però, devastanti per la vita umana: in particolare i Pm2 e i Pm1 scendono fino agli alveoli polmonari umani mietendo decine di migliaia di vittime, ma non sono direttamente correlate all’aumento delle temperature”.

Il problema del surriscaldamento riguarda le emissioni di anidride carbonica, e il rapporto Ipcc lo conferma: “Negli ultimi 20 anni il quantitativo medio di CO2 nell’atmosfera è schizzato alle stelle, rendendo questo momento storico il periodo in cui il mondo sta avendo la più grande concentrazione di anidride carbonica negli ultimi due milioni di anni. Questo è il fattore determinante nelle conseguenze che questo sta avendo sul clima”. Ma non tutti i luoghi del pianeta reagiscono alla stessa maniera, e il confronto tra l’Antartide e il Circolo Polare Artico lo dimostra: “La Groenlandia sta perdendo i propri ghiacciai a un ritmo 14 volte superiore di quello del Polo Sud. Questo perché l’atmosfera non si comporta ovunque alla stessa maniera, e per questa ragione anche in altri posti la vita non cambia allo stesso modo”.

Gli scenari possibili del surriscaldamento globale nei prossimi decenni

Raggiungere la neutralità climatica

Giostra chiude la propria esposizione illustrando i cinque scenari proposti dal report Ipcc, che variano a seconda della capacità di contenimento delle emissioni. Dal più grave, con un aumento spaventoso dei gas serra prodotti dall’uomo, al più mite, che ipotizza il raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero entro il 2050, passando per quello (purtroppo assai attuale) che propone uno scenario di ritorno al carbone per produrre energia a seguito di sconvolgimenti geopolitici dovuti alla guerra in Ucraina e all’abbandono del gas russo. “Per i prossimi 20 anni, in ogni caso, poco cambia, ma dobbiamo essere lungimiranti ed evitare il peggio”.

Ed è proprio da questa idea che muove la presentazione della professoressa di chimica dell’ambiente Michela Maione, che comincia proponendo lo standard presentato durante la COP26 di Glasgow, la conferenza globale sul clima tenutasi tra ottobre e novembre 2021. “Abbiamo il compito di gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile: alcuni effetti del cambiamento climatico sono ormai irreversibili, ma raggiungendo la neutralità climatica, ovvero pareggiando le emissioni alla capacità di rimozione dell’anidride carbonica dall’ecosistema, possiamo ridurre l’impatto che questo avrà sulle nostre vite”.

Il grafico mostra la differenza nell’impatto ambientale della produzione dei diversi alimenti

Il ruolo fondamentale dell’alimentazione

E per concludere la sequenza di opinioni comuni ma sbagliate, su cui il giornalismo scientifico deve lavorare, Maione propone un interessante grafico che mette in relazione la percezione dei cittadini sulle attività umane responsabili delle emissioni con la realtà dei fatti. “La ricerca Thematic Strategies On Air Pollution condotta da Kiesewetter e Amman evidenzia come sia opinione diffusa che traffico e industria siano i principali responsabili dell’emissione di Co2 e quindi del global warming – afferma la docente – quando in realtà questo è tutt’altro che vero”.

Il triste primato spetta purtroppo alle attività produttive agroalimentari. “Agricoltura e allevamento intensivi ed il consumo di cibo ad essi collegato sono il target necessario per cambiamento del futuro”. Ad accorgersene è anche la rivista Nature, che attraverso un team di ricerca ha sviluppato una dieta che migliorerebbe l’impatto delle attività del settore primario. Secondo la ricerca non si deve per forza smettere di consumare la carne per avere una dieta che soddisfi i criteri di sostenibilità, ma andare avanti con il regime attuale è sbagliato e dannoso. Riducendo il consumo di carne e latticini raggiungeremmo molto più facilmente l’obiettivo, e inoltre, conclude Maione, “potremmo migliorare la qualità dei prodotti, mangiare più sano ed evitare tanti morti legati ai regimi alimentari nocivi”.

About the Author

Guglielmo Maria Vespignani
Nato nel 1991 ad Ancona, sono cresciuto a Jesi e mi sono diplomato al Liceo Classico Vittorio Emanuele II. Laureato in Filosofia nel 2015 all'Università di Bologna, ho successivamente diviso la mia vita tra sport e impegno sociale.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi