di MARIA ELENA MARSICO
URBINO – Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, nel corso della sua carriera ha ascoltato molte intercettazioni: alcune riguardavano persone che contavano soldi per tutta la notte con delle macchinette, altre di omicidi in diretta. Ma ce n’è una che ha definito la più importante di tutte perché “certifica cosa sono e come interagiscono le mafie. Tirano la corda, spaventano ma non terrorizzano. C’era una guerra tra due famiglie. L’ambasciatore del capo crimine è entrato in città e ha detto al rappresentante di una di loro: “Buongiorno, come state? Fate attenzione perché quando sparate ad avvocati, serrande e terrorizzate le persone, il popolo vi abbandona. In una mattina potete perdere quello che avete fatto in trent’anni” ha raccontato il procuratore che ha sottolineato: “Questa intercettazione ci spiega che la mafia per esistere ha bisogno del consenso popolare”.
Sotto scorta dal 1989
Gratteri si è rivolto soprattutto ai giovani nell’aula magna del Polo Volponi, durante la cerimonia di consegna del sigillo da parte dell’Università di Urbino. Studenti e studentesse della Carlo Bo, delle scuole e autorità civili e militari erano tutti riuniti all’indomani dell’anniversario della strage di Capaci per ascoltare le parole del procuratore calabrese: “Se siamo credibili, i giovani ci seguono”. Nelle sue parole non è mancata infatti l’autocritica per la stessa categoria dei magistrati, “che hanno abusato del loro potere” fino a parlare di “aria di smobilitazione in Italia” riferendosi alle riforme sulla giustizia, dalla Cartabia (che lede anche la libertà di stampa) a quella sull’ergastolo ostativo.
Al centro dell’aula, circondati dalle sedute disposte come la cavea di un teatro, il rettore Giorgio Calcagnini, il prorettore vicario Vieri Fusi e Gratteri. Ai lati e tra la folla le forze dell’ordine in divisa, gli uomini della scorta che dall’aprile 1989 accompagnano il magistrato. Agenti che cambiano negli anni per proteggere il procuratore più volte finito nel mirino delle cosche calabresi che hanno progettato attentati contro di lui e la sua famiglia. In un’intercettazione di oltre tre anni fa, emersa durante l’operazione Malapianta contro la ‘ndrangheta, era stato definito infatti “un morto che cammina” e la sua figura era stata paragonata a quella di Giovanni Falcone.
Per oltre quarant’anni la ‘ndrangheta una storia di pastori
Una standing ovation, a cui ha è seguito l’inno nazionale, ha accolto il procuratore. Subito dopo è cominciata la lectio magistralis dal titolo “Storia segreta della ‘ndrangheta” che ha ripercorso gli eventi e i fenomeni storici che hanno portato al consolidamento della mafia più potente e più ricca, presente in tutti i territori. Da quando l’aristocrazia e i latifondisti assoldavano i picciotti, embrioni degli attuali mafiosi – che intervenivano con la società -, chiamati per risolvere i problemi al posto dei Carabinieri reali e, quindi, dello Stato. Una mafia che porta il nome di ‘ndrangheta già dal 1920.
Del 1969 è la sentenza che sancisce il suo concetto di unitarietà, sentenza “stracciata” anno dopo. Per 40 anni non si è mai considerata come fenomeno unitario, fino al 2011 con l’operazione “Crimine infinito” e le sentenze della Cassazione del 2016. “Abbiamo perso oltre quarant’anni di conoscenza. La colpa è nostra: dei magistrati, delle forze dell’ordine, dei giornalisti, degli scrittori. Abbiamo continuato a narrare una storia di pastori, al massimo di sequestratori di persone”, ha spiegato il procuratore.
Giurare su San Michele Arcangelo
Oltre alla storia dell’organizzazione mafiosa calabrese, Gratteri ne ha raccontato anche la struttura, i metodi di affiliazione, e le cerimonie in cui il contrasto onorato (una specie di “tirocinante” della ‘ndrangheta), accompagnato dal padrino, bucandosi il dito fa cadere il sangue sull’immagine del santo protettore: San Michele Arcangelo. Questo rituale fa parte di una formula e di un giuramento: da quel momento in poi esisterà soltanto la ‘ndrangheta. Se necessario, dovrà essere disposto ad ammazzare anche il proprio padre, la madre, la sorella, un parente.
ERGASTOLO OSTATIVO – Gratteri: “Contrario a riforma. Chi non collabora sarà sempre mafioso”
“Essere mafioso è una filosofia di vita. Si finisce di essere mafioso soltanto con la morte o se si diventa collaboratore di giustizia”, ha sottolineato Gratteri rispondendo a una delle domande poste dalle studentesse di giurisprudenza, dicendosi contrario alla riforma sull’ergastolo ostativo.
“State lontano dalle correnti. Lavorate con amore”
E rivolgendosi proprio agli studenti presenti che hanno scelto di intraprendere un percorso di legge, ha detto: “State lontano dalle correnti. Siate onesti, la credibilità è importante. E abbiate contegno nella vita, siate inappuntabili. Siete sempre in servizio. Lavorate sempre con amore: la gente ha fame di giustizia”. Qualche monito e qualche consiglio pronunciati con un tono di voce che faceva percepire la dedizione per una professione intrapresa in modo totalizzante e con coraggio. Consigli, però, validi per qualsiasi mestiere o professione che abbia a che fare con l’altro e con la verità. E sempre riferendosi alla sua categoria ha poi aggiunto: “Oggi siamo ai minimi storici per la credibilità perché alcuni di noi hanno sbagliato e hanno abusato del loro potere”.
Parlando della riforma Cartabia ha spiegato che ora “non possiamo dire nulla in merito all’indagine. Possiamo riferire soltanto quante persone arrestiamo. Oggi un rappresentante dello Stato non può informare l’opinione pubblica, ma può farlo l’indagato, l’imputato e gli avvocati in base al loro punto di vista”. E ha aggiunto: “L’Italia non so come sarà collocata nella graduatoria mondiale in materia di libertà di informazione e di stampa. Secondo me saremo sotto il 150esimo posto”.
LA MAFIA NELLE MARCHE – Gratteri a imprenditori: fallite piuttosto che accettare soldi sporchi
Al termine della cerimonia di consegna del sigillo, ai microfoni del Ducato, Gratteri ha poi parlato del pericolo di infiltrazioni mafiose nelle Marche, un territorio che è ricco di industrie e artigianato e potrebbe essere preda di attenzioni da parte della criminalità organizzata: “La politica e le forze dell’ordine devono stare vicini agli imprenditori e gli imprenditori devono fidarsi di più delle forze dell’ordine. Ogni volta che vedono qualcosa di strano o anomalo devono segnalarlo. Se sono in crisi economica io consiglio loro di fallire e di non rivolgersi a soci non conosciuti che vengono qui con valigie di soldi per risolvere i loro problemi. Quello è l’inizio della fine della loro libertà d’impresa”.