di GUGLIELMO MARIA VESPIGNANI
URBINO – S’è svolta oggi presso il Tribunale di Urbino un’udienza del procedimento per il ferimento della soldatessa Valeria Malerbi al poligono di Carpegna il 12 giugno del 2018, durante un’esercitazione del 187o reggimento della Folgore di Livorno.
La seduta, durata più di sei ore e presieduta dal giudice monocratico Francesca D’Orazio, ha coinvolto due testimoni, uno del Pubblico Ministero e uno della parte civile, e uno degli imputati, il colonnello Luca Simonelli, che quel giorno era incaricato di dirigere l’esercitazione. Presenti in aula Malerbi e sua madre, Antonella Ludovico, costituitasi parte civile. Assente invece la sorella della vittima, Sofia Malerbi, anch’essa parte civile. L’ esame dell’altro imputato presente in aula, il colonnello Giuseppe Scuderi, è stato rinviato alla prossima udienza, fissata per l’8 settembre, quando si ascolteranno anche altri sei testimoni.
Le testimonianze
L’udienza si è aperta poco dopo le 10 con l’ascolto del teste Gianluca Cassanelli, sergente maggiore dell’Esercito italiano, all’epoca dei fatti istruttore alla scuola di fanteria di Cesano. Le domande del Pubblico Ministero Andrea Boni al testimone, non presente all’accaduto, si sono concentrate principalmente sul chiarire le qualifiche militari di uno degli imputati, Alessio Prisco, fuciliere incaricato di esplodere i colpi del mortaio Expal 81, arma da fuoco coinvolta nell’esercitazione.
La testimonianza del sergente maggiore ha fatto emergere come l’imputato avesse frequentato il corso che abilitava all’utilizzo di quello specifico tipo di mortaio. Un corso della durata di due settimane, definito “di familiarizzazione”, che Prisco aveva superato con la valutazione di 20,5 punti su 30, “ampiamente sufficiente per l’idoneità”.
La seduta è poi proseguita con l’ascolto del testimone della parte civile Luca Conti, caporalmaggiore scelto del 187o reggimento, incaricato di guidare l’ambulanza su cui prestava servizio anche Malerbi come assistente medico. In aula, Conti ha riferito che l’assetto sanitario dell’Esercito che doveva prestare servizio durante l’esercitazione era giunto al poligono di Carpegna il giorno precedente e che, prima del briefing generale, era stato effettuato un sopralluogo nel quale si era deciso a che ora e dove il team medico dell’esercitazione dovesse ritrovarsi la mattina successiva.
Il posizionamento dell’ambulanza
Buona parte dell’udienza è stata dedicata al tentativo di capire perché l’ambulanza si trovasse nella posizione che ha determinato, poi, il ferimento di Malerbi. Durante la sua testimonianza Conti ha riferito che “nel contesto dell’esercitazione non aveva dubbio sul posizionamento del mezzo medico, ma che con il senno di poi due domande se le sarebbe fatte”. L’ambulanza era infatti posizionata, come riferito durante l’udienza, lateralmente alla linea di tiro del mortaio, e non dietro, come da prassi di sicurezza.
Su quella ambulanza, allo scoppio dei colpi di mortaio, non si trovava Conti, che all’inizio dell’esercitazione, ha detto in aula, si era allontanato dal mezzo per raggiungere la tenda degli ufficiali, a circa 50 metri di distanza. Ma nei pressi c’era invece proprio Malerbi, rimasta a presidiare il mezzo fornito di materiale medico. Così, venne ferita dalle schegge del colpo, andato di gran lunga fuori misura rispetto all’obiettivo di tiro predisposto dalla direzione dell’esercitazione. Un errore stimato attorno ai 400 metri di distanza e definito “inaccettabile” anche dal colonnello Simonelli.
La decisione sul posizionamento dell’ambulanza, spiegherà quest’ultimo durante il suo interrogatorio, venne presa dallo stesso Simonelli, in quanto dopo alcune verifiche tecniche era stato appurato come l’ambulanza non riuscisse a percorrere in salita una delle colline all’interno del poligono. Una posizione differente non avrebbe perciò consentito un intervento tempestivo del mezzo medico.
La variazione magnetica
La responsabilità dell’errore di tiro, stando a quanto riferito in tribunale dal colonnello Simonelli, sarebbe da attribuire a un altro degli imputati, Alessandro Vecchi, a capo del plotone mortai durante l’esercitazione, che non doveva soltanto svolgere i compiti operativi assegnati, ma era anche incaricato di calcolare la variazione magnetica, ovvero la differenza tra i punti cardinali individuati dagli strumenti di rilevazione e quelli reali, geografici.
Questo calcolo, riferisce Simonelli, è per norma militare da eseguire manualmente da un nucleo adibito (Soa), con le carte topografiche in mano, ed è compito di chi dirige il gruppo incaricato dell’esplosione dei colpi garantirne la verifica e la correttezza.
Ma quel giorno i calcoli furono fatti usando esclusivamente il GPS, uno strumento che, riporta sempre Simonelli, può essere utilizzato eventualmente per la verifica dei calcoli manuali, ma che non può in alcun modo sostituirli. Le carte, si è appreso oggi in aula, non erano a disposizione dei militari adibiti ai rilievi.
Simonelli ha detto inoltre di non essere conoscenza di questo errore prima dell’inizio dell’esercitazione, e che, qualora lo avesse saputo, sarebbe stato sicuramente suo compito intervenire.
La richiesta di confronto
Verso il termine dell’udienza gli avvocati della parte civile hanno richiesto un confronto tra i testimoni e l’imputato sul tema del sopralluogo del giorno precedente all’esercitazione, per chiarire, dicono gli avvocati, chi fosse presente al sopralluogo, ed in particolare verificare la presenza del capitano Italia, incaricato di dirigere le operazioni mediche durante l’esercitazione.
Su questa richiesta si dovrà pronunciare il giudice d’Orazio, che, finito l’esame di Simonelli, ha rinviato quello di Scuderi alla prossima udienza per ragioni di tempo, nonostante la richiesta del Pubblico Ministero e degli avvocati della parte civile di proseguire con l’esame del secondo imputato.