Marino Sinibaldi e il potere della rivista: “Riannodare il filo della complessità”

di DAVIDE FANTOZZI

URBINO – Marino Sinibaldi è tante cose. È ideatore e conduttore della trasmissione Fahrenheit su Rai Radio 3. È il direttore della rivista trimestrale Sotto il vulcano. È autore di diversi saggi di storia e critica letteraria. Il Ducato gli chiede di rispondere ad alcune domande in vista dell’incontro “A cosa serve una rivista?”, in programma al Festival la mattina di sabato 8 ottobre.

Per Sinibaldi la rinascita delle riviste su carta non è un semplice ritorno al passato. Anzi, sono una richiesta dei tempi attuali. C’è “l’intenzione di annodare un filo di riflessioni e complessità che si era perso negli ultimi anni. Abbiamo principalmente due dimensioni temporali – spiega – che sono l’istantaneità quotidiana dei giornali e il tempo lungo, a cose fatte, della riflessione dei libri. Della rivista trimestrale, come è Sotto il vulcano, mi piace la giusta distanza delle cose”. In questo modo “il lettore non è sopraffatto dalla quotidianità, ma non se ne allontana troppo. È un punto di vista laterale, temporalmente più meditato. Perché il tempo è fondamentale”.

Integrati e intellettuali

La rivista in quanto integrazione e mediazione di modelli letterari diversi. Così come quella che serve tra prodotti culturali e social. “L’integrazione ormai fa parte dell’esperienza di lettori e scrittori. Oltre a questa salutare commistione c’è però anche confusione, dovuta alla differenza intergenerazionale sui social. Ogni sottogruppo cerca un proprio ambiente di appartenenza, in linea con un percorso cominciato già nel ’68”, afferma Sinibaldi, che indica senza esitare un campo in cui riescono a coesistere “modelli giovanili e altri più ‘vecchi’: nella comunicazione”. In questa ecosfera i giovani sono fondamentali, “perché hanno la capacità di immettere la tecnologia, con la quale comunichiamo, nella dimensione familiare. È il caso del nonno che chiede al nipote come usare il telefonino”.

Un ruolo di collegamento dove si viene a situare la figura dell’intellettuale, “una persona riconosciuta come competente e autorevole, che storicamente si trovava nei luoghi della politica e dei media tradizionali”. Ora “gli ambienti si sono frammentati, di conseguenza queste figure sono aumentate. La moltiplicazione delle voci è sempre una garanzia di democrazia però oggi il dibattito, soprattutto televisivo, rischia di polarizzarsi”, avverte Sinibaldi. Possono esserci intellettuali sui social, “ma dobbiamo prima appropriarci del linguaggio della Rete, che è immediato. Siamo all’altezza di tale velocità? O elaboriamo solo pensieri grossolani? Bisogna mettere le parole al servizio di pensieri complessi”.

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