di ALICE TOMBESI
URBINO – Al centro del quadro Luca Pacioli, monaco e matematico del Quattrocento, dietro di lui un allievo, in alto a sinistra un solido di cristallo che, giocando con la luce, riflette – si pensa – il palazzo Ducale di Urbino. Parte dalla spiegazione di questo quadro attribuito a Jacopo de’ Barbari il panel “Federico da Montefeltro: il tecnologo del Rinascimento” della seconda giornata del Festival del giornalismo culturale. Il Duca da Montefeltro non è più in vita quando viene realizzata questa tela, originariamente conservata a Urbino, eppure c’è molto dello storico condottiero e, ancor più, spiega perché il Duca possa essere definito un tecnologo del Rinascimento.
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“Pacioli sta impartendo una lezione seguendo un testo antico e disegnando un poliedro sulla lavagna mentre in alto, che scende dal soffitto, c’è questo solido di cristallo pieno d’acqua. Questo per spiegare come, prima ancora del rapporto tra Federico da Montefeltro e la tecnologia c’è il pensiero, l’idea, la teoria” – spiega lo storico dell’arte Costantino d’Orazio, relatore del panel – Federico prima di tutto è un cultore del pensiero e questo quadro ci fa capire che la tecnologia senza la teoria non esiste”.
Ed è tra le stanze di Palazzo Ducale che il pensiero tecnologico di Federico da Montefeltro ha trovato realtà. Incastonata tra le colline, la corte di Urbino ha contribuito alla nascita di un linguaggio nuovo dove la tecnologia non era a servizio solo della guerra ma anche della vita quotidiana e dell’arte. “Ed è un linguaggio nuovo, indipendente da quanto nel frattempo veniva prodotto a Firenze o a Roma” afferma Luigi Gallo, direttore della Galleria nazionale delle Marche. La stessa costruzione di Palazzo Ducale è frutto di innovazioni tecnologiche rivoluzionarie per l’epoca, questo perché nel Quattrocento non c’era ancora la separazione netta tra teoria e architettura del progetto. “Palazzo Ducale e Urbino, in questo senso, sono stati utilizzati come luoghi per esercitarsi nelle innovazioni tecnologiche” le cui tracce, in effetti, sono visibili ancora oggi “alcuni strumenti utilizzati sono stati riportati nelle formelle esposte a Palazzo Ducale”. Un’esposizione chiara che diventa una dichiarazione: “La pratica tecnologica è espressione di potere” conclude Gallo.
L’aria che si respirava nella corte di Federico da Montefeltro, quindi, era di innovazione. Nel pensiero, nella tecnologia, nel linguaggio. Baldassar Castiglione, letterato al servizio del Duca, l’innovazione del linguaggio nella corte di Urbino l’aveva capita prima di tutti. Nel suo libro Il Cortegiano, in cui traccia il profilo di come dovrebbe essere un cortigiano per l’appunto, conia una parola: spazzatura. Ovvero un modo di raccontare le cose senza dimostrare eccessiva erudizione. “In questo passo del libro ci vedo un modo di procedere quasi giornalistico – interviene Damiano Fedeli, giornalista per Il Corriere della Sera e ex alunno dell’Ifg – è una sfida ai giornalisti culturali che non dovrebbero nascondersi dietro una cortina di parole che creano una barriera con il pubblico”. Ancora una volta, sotto un altro aspetto, c’è l’innovazione.
La commistione di arte e tecnologia arriva fino ai tempi contemporanei. Non a caso tra le mostre in corso alla fondazione Palazzo Strozzi di Firenze c’è quella di Olafur Eliasson, Nel tuo tempo, dove, tra le varie installazioni, torna il poliedro. In particolare, nell’opera di Eliasson i poliedri sono due, incorporati uno dentro l’altro realizzati con varie tonalità di vetro e con luci montate al loro interno che, come una lucciola, proiettano forme e ombre complesse e variegate sullo spazio circostante. “La tecnologia è alleata importante dell’arte – dice nel suo intervento all’Fgcult Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi – l’uso della tecnologia non è legato solo a strumenti ma anche in modo fisico, con installazioni di arte contemporanea”.