di BEATRICE GRECO
URBINO – I Maneskin a Sanremo. Mina Settembre o I bastardi di Pizzofalcone, fiction della Rai. La prima uscita degli Oscar Mondadori con Addio alle armi di Hemingway. Cos’hanno in comune queste tre cose? “Sono servizio pubblico, perché concorrono alla formazione del Paese” afferma Marco Frittella direttore editoriale di Rai Libri e volto del Tg1 per diversi anni. Ne è fermamente convinta anche Marianna Aprile, giornalista, caporedattrice di Oggi e conduttrice di programmi su Rai Radio 1 e La7, “perché ciò che mostra il cambiamento della società informa e forma i cittadini”. Chi fa servizio pubblico e quale ruolo abbia nella società e nella formazione culturale sono stati i temi al centro del panel Il servizio pubblico e la cultura, che ha chiuso la decima edizione del Festival di giornalismo culturale.
Il servizio pubblico attento ai cambiamenti del paese
“Molte fiction Rai sono prodotti culturali – spiega Aprile – perché portano ad alfabetizzazione sociale. Mostrano famiglie arcobaleno, bambini bullizzati, i disagi provocati dai disturbi psichici. Si vedono, cioè, le stesse cose che stanno nella società e che si possono leggere nelle ultime pagine dei quotidiani”.
Per Giorgio Zanchini, giornalista e direttore del Festival, il servizio pubblico deve costruire coesione sociale, identità, “deve tenere insieme i riti, quelli che ci fanno sentire italiani”. Un compito assolutamente rispettato dalla Rai secondo Aprile, che vede nell’approdo a Sanremo dei Maneskin, “nati” su Sky, l’emblema dell’attenzione all’evoluzione del nostro Paese: “Il servizio pubblico ha intuito che lì c’era un nuovo modo di guardare la società e, portando la band a Sanremo, ha fatto conoscere il cambiamento in maniera comprensibile a tutti”.
Il servizio pubblico: lo fanno tutti
“Se lo scopo dell’informazione è anche formare il pensiero critico, far conoscere ciò che accade e far sviluppare una capacità di interpretazione della realtà – dice la caporedattrice di Oggi – non lo fa solo la Rai, ma anche altre testate”.
Concorda Luigi Contu, direttore dell’Ansa: “L’agenzia che dirigo si sente un po’ servizio pubblico, perché siamo passati da strumento per professionisti a grande fonte di informazione per tutti”. Contu racconta che, non appena diventato direttore, ha dovuto lottare con chi chiedeva di chiudere il settore culturale per far fronte a un momento complicato per l’agenzia di stampa: “Per me era una follia. In quanto servizio, dobbiamo cercare di dare spazio a tutti i contenuti, come presentazioni di libri o spettacoli teatrali. Sappiamo che attirano pochi clic, ma è importante parlarne perché fanno parte della società”.
E proprio di libri parla anche Frittella, citando gli Oscar Mondadori. Escono per la prima volta nel 1965 e nello stesso anno la Rai produce i primi sceneggiati di Tolstoij. “Entrambi erano servizio pubblico” dice l’ex volto del Tg1, che poi allarga la visuale: “Tutto ciò che dà servizio al pubblico, è servizio pubblico”.
Le responsabilità del servizio pubblico
“Dopo il primo Tg, mi sono sentito la sigla sulle spalle”. Frittella racconta così il carico e la responsabilità data dal lavorare al telegiornale della Rai. “Il Tg1 è una cosa che sta lì, che rappresenta qualcosa nel Paese”. E anche Aprile, conduttrice di programmi su Rai Radio 1, concorda: “Lavorare in Rai mi ha resa più vigile. Sapere di far parte di un certo servizio pubblico, sapere che si parla con tutti i cittadini, aumenta il senso di responsabilità. Prima di dare la propria opinione su qualcosa, ci si pensa due volte”.
E su questo punto il direttore dell’Ansa dà la sua ricetta: “Un giornalismo autorevole deve essere un giornalismo più distante dalla propria opinione, che permetta però alle persone di crearsene una propria”. Per Frittella la soluzione è il pluralismo, “che deve essere garantito dalla Rai, in quanto servizio pubblico”. “Ma – attacca l’ex volto del Tg1 – pluralismo non significa lottizzazione, non significa lasciare spazio ai partiti di fare il bello e il cattivo tempo”.