DI EMILIA LEBAN
URBINO – “Saper analizzare le situazioni in modo oggettivo e razionale”. Questa è la definizione di pensiero critico che si trova su Wikipedia. Come fare a conciliare dunque l’analisi profonda e razionale con la velocità che il web ci impone? Con questa domanda l’agente letterario Marco Vigevani apre il panel I media e il pensiero critico.
Su internet il tempo conta eccome, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. “La fede ideologica che mostriamo nei confronti della tecnologia altro non è che una forma di autogiustificazione per tutte le ore che passiamo online”, dice lo scrittore Gabriele Balbi. Ma la pressione della rapidità la sentiamo tutti: i produttori di notizie devono fare in fretta per superare la concorrenza, i consumatori devono decidere in una manciata di secondi se quella notizia è interessante per loro e se possono fidarsi della fonte. Una logica della velocità che sembra essere scritta nel nostro dna: “Dopotutto – dice Vigevani -, siamo programmati per scappare dai leoni, per valutare rapidamente i pericoli. Azioni che richiedono velocità più che un pensiero critico”.
“La selettività è imposta dalla rete sociale”
“Pensiero critico significa operare con selettività”, interviene il docente dell’Università di Urbino Giovanni Boccia Artieri. “Oggi quello che selezioniamo dipende dalla rete sociale che ci siamo costruiti”. La lettura profonda è stata scavalcata dall’algoritmo. Eppure, una forma di mediazione tra produttori dell’informazione e consumatori è sempre esistita, “basta pensare che fino a poco tempo fa alla Feltrinelli c’era la sezione dei libri consigliati da Fabio Fazio – dice Boccia Artieri -, e oggi è la stessa cosa: abbiamo la sezione di opere consigliate dai booktoker”.
“Il futuro dell’informazione è nei giornali”
Per conciliare l’informazione tradizionale con la velocità del web molti giornali tendono a “inseguire il modello dei social media”, forzando i tempi ma impoverendo il contenuto. “Quello che non abbiamo saputo spiegare ai giovani è che la lettura dei giornali è faticosa – spiega la giornalista Simonetta Sciandivasci -, il compito di chi scrive la notizia non è quello di imitare i social semplificando il prodotto, ma ridurre la scelta”. I giornali vivono di gloria riflessa e si affidano a una loro presunta autorità per rivolgersi al pubblico. “Un po’ come fanno gli influencer – spiega la giornalista – che non fidandosi dell’informazione mainstream si trasformano essi stessi in opinion leader. Ecco perché, continua Sciandivasci, “il futuro non è nei social. Il futuro continuano a essere i giornali e la radio. Social e media mainstream sono due realtà da tenere separate”.