Fgcult, Luigi Mascheroni: l’arte di “surfare” tra la cultura e “pizzicare qualsiasi cosa”

di Chiara Ricciolini e Maria Dessole

URBINO – “Il giornalista culturale non è un sommozzatore, ma un surfista. Non sa niente in profondità, ma sa arrivare ovunque. Non é cioé uno specialista, ma ha una straordinaria curiosità e deve essere capace di pizzicare qualsiasi cosa”.

Il professor Luigi Mascheroni, docente di teoria e tecniche dell’informazione culturale all’Università Cattolica di Milano e giornalista culturale per il Giornale dal 2021, anticipa alcuni dei temi del suo intervento al Festival del Giornalismo culturale l’8 ottobre alle 16:00 e dà alcuni consigli su come i giornalisti possono formarsi.

Un suo pamphlet del 2021 s’intitola: “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)”. Anche per le immagini è auspicabile quella desacralizzazione del “prodotto artistico”?
Un eccesso di sacralizzazione del libro e un eccesso di retorica sul libro possono essere controproducenti. Questa cosa, per quanto riguarda il mondo delle immagini dell’arte, cambia. Negli ultimi anni soprattutto, il mondo delle mostre e quello dei musei hanno attuato tutta una serie di strategie, di metodi, di scelte, di approccio con il proprio pubblico, molto più diretto, meno liturgico meno rituale e meno sacro, che ha portato dentro i musei anche tanti non addetti ai lavori.

Lei non riscontra una sorta di timore nel pubblico di massa nell’andare alle mostre e ai musei?
Meno rispetto a quel tipo timore che molti non lettori abituali provano rispetto ai templi del sapere, cioè la libreria e la biblioteca. Non a caso in Italia funzionano invece molto bene i festival, che riempiono le piazze. Nel festival letterario non c’é nessuna barriera, la piazza si apre.

I dati forniti dall’Associazione Italiana Editori (Aie) smentiscono la convinzione comune che i giovani leggano sempre di meno.
Io credo che quando si ha dai 12 ai 18 anni faccia molto bene l’assenza di imposizioni, canoni e regole, bisogna leggere quasi come capita, a secondo del proprio gusto, spaziando tra generi e autori, tra paesi e tempi, tra classici e bestseller. Quando poi si scopre la magia della lettura, allora dopo si può e si deve diventare più selettivi e si deve scegliere e fare una selezione.

Domenica 8 ottobre a Palazzo Ducale interverrà all’incontro “Fare informazione culturale”. Come e dove si forma il giornalista culturale?
Quello che secondo me dà la capacità di capire come fare un pezzo è leggere o sfogliare. Bisogna andare alle mostre d’arte e andare a vedere i nuovi musei che inaugurano, seguire la fotografia. Bisogna andare a vedere tanti film, anche le serie TV, andare ai festival del cinema appena puoi e leggere la riedizione di un classico.

I Festival culturali sono luoghi in cui alla pluralità è dato sufficiente spazio?
Sì assolutamente. I festival culturali – che sono fin troppi in Italia, circa 1.050 – hanno la grande capacità di riuscire a condensare in una settimana circa, in un luogo ben preciso come il centro storico di una città, come a Mantova e Pordenone, o in maniera più diffusa sul territorio, tantissime voci. Questa varietà di tempi, questa capacità è ottima per coinvolgere e toccare: temi autori periodi molto trasversali. L’obiettivo è la pluralità delle voci, ma anche il coinvolgere il maggior pubblico possibile. Non solo persone a cui interessa solo il giallo, altre a cui interessa solo sentire Travaglio o la filosofa Marzano. La letteratura ha il potere di coinvolgere sempre filosofia danza teatro, ma anche le ideologiche politiche. Nulla dovrebbe essere precluso, il pluralismo è arricchimento.

Che libri ha sul comodino in questo momento?
Ieri mi è capitato sulla scrivania Fame di Knut Hamsun, scrittore norvegese Premio Nobel, nazista cristallino che, quando morì Adolf Hitler, scrisse il più grande elogio che si possa immaginare di un uomo. La fascetta elogiativa di Saviano mi ha convito a rileggerlo. Inoltre sto leggendo un saggio di Carlo Ginzburg dal titolo Miti emblemi, spie. E ho appena finito di leggere la biografia filosofica di Giambattista Vico, scritta da Marcello Veneziani.

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