Maria Dessole
URBINO – Quando sentiamo la parola design possono venire in mente molte cose. Lo spremiagrumi di Philippe Starck, le costruzioni di Zaha Hadid, o anche solo la sedia Poäng. Molto più raramente saremo portati a pensare al design della letteratura e della scrittura.
Tuttavia il poeta Lamberto Pignotti nel panel dal titolo “Immaginare spazi da scrivere e da abitare. Architettura testo immagine”, durante la seconda giornata del Festival del giornalismo di Urbino, inizia il suo intervento dalla “forma sinestetica” di design e scrittura, accostando testo e immagine.
Un connubio difficile da comprendere, ma che il maestro della poesia visiva ha spiegato attraverso richiami alla pop art, alla galassia Gutenberg di Marshall McLuhan, alle pubblicità dagli anni ‘80 ad oggi. “Oggi certi ambienti pubblicitari tendono, più che a far vedere, a creare comunicazione con l’utente. Ciò testimonia un recupero della parola sull’immagine, della verbalizzazione della comunicazione”. Tuttavia alla fine dell’intervento il poeta sembra decretare la vittoria delle immagini sulla parola.
Le foto sopra le parole
Su questa suggestione intervengono all’evento organizzato dal Festival del giornalismo culturale di Urbino, il giornalista Michele Smargiassi, gli architetti Stefano Brachetti e Luca Molinari, intervistati dal direttore dell’Isia di Urbino Jonathan Pierini.
Pierini, partendo dal rapporto tra letteratura e immagine come descritto dal maestro Pignotti, chiede agli ospiti di concentrarsi sul rapporto tra lo spazio finisco e la fotografia.
“Per Bruce Chatwin essere un viaggiatore e uno scrittore erano la stessa cosa” – Michele Smargiassi
Racconta Michele Smargiassi che Chatwin “una volta stava raccontando al suo amico, storico dell’arte, Jonathan Hope il torrenziale resoconto del suo ultimo viaggio quando Hope gli chiese: ‘Non potresti semplicemente mostrarmi una foto?’. Chatwin non la prese bene”.
Smargiassi, usa questo aneddoto per intendere quanto la fotografia sia capace di diventare istantaneamente “memoria dello spazio”, quando per raggiungere lo stesso risultato alle parole occorrerebbe ben più di un istante.
Da qui nasce un lungo racconto sulle promesse ottocentesche, non esaudite, della fotografia. Smargiassi, prendendo in prestito le parole che Roland Barthes scrive nel saggio La camera chiara. Nota sulla fotografia, dice che: “La fotografia fa apparire nel presente un tempo passato”.
Il rapporto tra spazio e fotografia è di funzionalità. La fotografia è la memoria dello spazio. Quali e quanti sono i limiti di questo strumento lo capiamo quando guardiamo un’immagine scattata anni prima. L’emozione non è certamente paragonabile a quella che proveremmo tornando fisicamente nello stesso luogo.
Aspettative deluse. Le fotografie di viaggio
La fotografia ci ha promesso qualcosa che non è stata in grado di mantenere, secondo Smargiassi. Riporta solo le miniature di mondo, semplificando la complessità della natura e ridimensionandola in formato tascabile.
E anche vero che la miniatura ha in sé qualcosa di affascinante. “Di fronte alle piccole istantanee ci sentiamo come Gulliver a Lilliput, come un bambino con in mano un giocattolo” racconta Smargiassi.
Anche Luca Molinari, sulle stesse suggestioni, ricorda gli antecedenti che hanno portato alla fotografia di viaggio: le vedute di Venezia del Canaletto, il pittore, com’è noto, usava una camera ottica, sorta di antenato della macchina fotografica. Molinari svela un interessante fatto: il Canaletto non disegnava la Venezia reale, ma una Venezia sognata, iperrealistica e tuttavia solamente verosimile.
Il tutto letto nei suoi frammenti
Il mezzo fotografico è lo strumento cardine della mostra “I frammenti e il tutto” che Luca Molinari ha allestito in collaborazione con Jonathan Pierini e con il direttore della Galleria Nazionale Marche Luigi Gallo. La mostra documenta e illustra le trasformazioni, i processi e gli spazi di Palazzo Ducale. Questa raccolta di foto permette di sfogliare il palazzo come fosse un libro.
.@lucamolinari4 “Ogni spazio è un libro da sfogliare” #fgcult23 pic.twitter.com/jm1g5CKoPM
— Festival del giornalismo culturale 📚 (@fgcult) October 7, 2023
Luca Molinari auspica quindi il ritorno a uno conoscenza più approfondita dei luoghi, che andrebbero studiati “nella loro interezza”. “Del resto – nota Molinari – l’architettura la si attraversa dal primo all’ultimo giorno della nostra vita”. Con la mostra a palazzo Ducale ha cercato di trasmettere una realtà oggettiva, che ognuno legge poi a modo suo per trovarvi dentro un frammento di sé.
Le diverse accezioni di spazio
Stefano Bracchetti, direttore della comunicazione della Galleria Nazionale delle Marche, tira le fila di questo interessante incontro andando a individuare le accezioni di spazio, che come emerge dall’incontro, è multiforme, può essere sognato o reale, e può essere miniaturizzato.
La prima descrizione è quella dello spazio in quanto utile e necessario, come elemento di luogo nell’azione. La seconda è lo spazio nella veste di simbolo. E qui ricorda il simbolo–luogo della Sala del Trono di Palazzo Ducale che con le sue volte di 13 metri ha la funzione simbolica di rimandare alla forza e alla maestosità del ducato dei Montefeltro.
L’ultima accezione di spazio a cui Bracchetti fa riferimento è l’evocatività. Non solo spazio dell’azione e spazio del simbolo. Lo spazio può diventare quello che noi vediamo osservandolo.
Dalla Città ideale alla realtà ideale
L’ultima accezione non può che rimandare, conclude Brachetti, al capolavoro custodito all’interno di Palazzo Ducale La città ideale, in cui i tre elementi di utilità, simbologia ed evocazione si sommano dando vita a un’architettura ideale.
La creazione della città ideale trova un diretto discendente nella realtà ideale. Aumentata, virtuale, 3D, immersiva, quella del ventunesimo secolo. La grande stanchezza della realtà vera, interattiva e fisica, ne ha originata una ideale, del tutto verosimile. Per rifugiarsi in un mondo di immagini. La fotografia diventa quindi una porta di fuga dalla realtà.
Moltiplicazione e bulimia delle immagini
Ma, per chiudere questo circuito, le immagini, e le realtà a cui danno origine, hanno imboccato e poi percorso la lunga strada del consumismo iconico. Viviamo un periodo di saturazione che sta facendo perdere all’immagine il suo potere eversivo, e in cui, dice Michele Smargiassi, “la fotografia è uno sguardo neutro che congela la realtà”.