Teatro Sanzio, Luigi D’Elia è Caravaggio, “l’oscuro”. Vita, opere e scandali del Merisi

di CARLA IALENTI e CRISTINA R. CIRRI

URBINO – Il buio e le onde del mare. Poi una voce e una luce forte che illumina la scena. In alto un drappo rosso, colore della passione per la pittura e la vita. Pedane in legno e stracci bianchi e rossi, uno sopra l’altro, alla rinfusa, creano movimento e caos, come movimentata e caotica è stata l’esistenza di uno dei pittori italiani dalla personalità più complessa: Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. “Gli piace solo lo scandalo, in fondo non è mai stato in grado di amare”. La voce è quella di Luigi D’Elia che porta in scenaCaravaggio. Di chiaro e di oscuro” al Teatro Sanzio di Urbino, davanti a una platea gremita.

“Il pittore errante”

L’attore, di spalle, è nei panni di un Caravaggio alla fine della sua vita. Dopo l’omicidio di un uomo, sulla sua testa cade una taglia: “Come si fa a dormire tranquilli quando tutti ti vorrebbero morto?”. Era figlio della povertà Caravaggio, ma una nobildonna lo aveva tolto dalla strada: “Michelangelo, che vuoi fare da grande?” “Il pittore errante” risponde. Era questo il desiderio che lo spinse a viaggiare dalla Lombardia a Roma, da Napoli, a Messina e Palermo.

Caravaggio vede sensualità dove gli altri scorgono peccato, scandalo, volgarità. Dipinge immagini sacre, divine, ma piene di vita vera, terrena, sporca. Sporca come i piedi del suo San Pietro crocifisso e le unghie del suo Bacco. Scandalosa come i seni nudi delle sue Madonne. Profana come la rappresentazione col volto delle sue puttane della Vergine concepita senza peccato.

E intanto l’attore regge una rosa, simbolo dell’amore e della giovinezza. Quella che spreca entrando e uscendo di prigione. Caravaggio tanto sa che c’è sempre qualcuno che paga per la sua libertà. Gli altri ci provano a salvarlo, ma lui si mette sempre nei guai. Nel fiore dei suoi anni la sua vita comincia a sfiorire. L’attore lascia cadere la rosa.

“Di chiaro e di oscuro”

1600, anno del Giubileo. Caravaggio potrebbe abbandonare il nero fitto che tanto è presente nei suoi quadri e usare il lapislazzulo, dare luce alla scena. “Ma che se ne fa del lapislazzulo? L’oscurità è importante quanto la luce” dice l’attore sulle note di un pianoforte. Ed è l’oscurità la chiave dello spettacolo e dell’arte di Caravaggio. Per dipingere la luce nei suoi quadri arrivò persino a bucare il pavimento del soffitto.

“Michele, non puoi sbagliare!”

Caravaggio perde tutto, poi la grande occasione: dipingere Sant’Anna per il papa. “Michele, non puoi sbagliare!”. La Madonna calpesta il serpente, simbolo del peccato. “Va bene”. Gesù bambino poggia il piede su quello della madre. “Va bene, Michele!”. Sant’Anna, però, è vecchia, rugosa, sdentata. “No, Michele, no!”. La rappresentazione del momento tragico è comica: il pubblico ride. Caravaggio si è giocato tutto. Il buio occupa più spazio del corpo di Sant’Anna. La Madonna ha un corpo carico di erotismo. Caravaggio ha perso la sua occasione di redenzione. L’attore, al buio, e di spalle al pubblico, imita l’atto del dipingere con movimenti rapidi e frenetici. Il pubblico applaude. Imita un Caravaggio consumato da rabbia, errori e paure: ha vissuto tutto quello che un uomo può provare. La sua testa mozzata, che tutti vogliono, diventa quella di Golia, ucciso da Davide.

“Morì malamente come male avea vivuto”

A Napoli le percosse di quattro furfanti in cerca di vendetta lo rendono quasi cieco. Non dipingerà mai più come prima. L’attore, muovendo lentamente un pennello, imita un Caravaggio stanco e rassegnato. A un passo dal firmare la grazia papale sbaglia di nuovo: ritorna in prigione. Scappa e tra le onde del mare cerca la libertà. Ma ormai è troppo tardi. Desiderava una vita senza sosta. Finisce col vivere senza pace né speranza. L’attore a poco a poco si accascia. È finita. “Morì malamente come male avea vivuto”.

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