di RAFFAELE DI GAETANI e MARIA SELENE CLEMENTE
URBINO – Federico, Fabio e Antonio. Nomi diversi ma persone con storie simili alle spalle. Ad avvicinarli non è stata solo la vita vissuta nelle Marche ma le malattie di cui hanno sofferto o soffrono. Quelle che gli hanno creato dolori tali da chiedere il suicidio assistito e che sono state prolungate a causa della mancanza di una disciplina legislativa in materia. La Corte Costituzionale ha ammesso la pratica dando le linee guida della sua esecuzione, ma nessuna legge, né nazionale né regionale, l’ha applicata.
Nelle Marche a pagare la mancanza di una normativa sono state proprio persone come Fabio Ridolfi che ha preferito la sedazione profonda, che porta alla morte con tempi diversi e più lunghi dal suicidio assistito, piuttosto che aspettare le istituzioni. O Federico il cui suicidio assistito è avvenuto un anno dopo rispetto alle verifiche dei requisiti dal servizio sanitario nazionale. Per quanto la libertà dell’individuo sia inviolabile, come sancito dall’articolo 13 della Costituzione, loro, sulla propria vita, non hanno potuto scegliere in piena autonomia.
Persone ferite dal vuoto legislativo
Federico Carboni, 44enne tetraplegico marchigiano, dopo aver chiesto l’accesso al suicidio assistito, ha dovuto attendere due anni per la verifica dei requisiti previsti dalla Corte. Solo dopo diverse sollecitazioni, ha ottenuto l’autorizzazione all’auto somministrazione del farmaco letale. Come non bastasse, Carboni si è dovuto far carico dell’acquisto del farmaco e della ricerca di un medico che lo prescrivesse e lo preparasse. La sua morte è stata resa ancora più dolorosa dall’attesa. L’assunzione del farmaco infatti è avvenuta un anno dopo rispetto al via libera del Servizio sanitario nazionale.
Nemmeno per Fabio Ridolfi è stato facile morire. È il 2004. È un classico pranzo di famiglia domenicale quando il fermignanese, allora 28enne, viene colpito da un malore che gli causa la perdita di equilibrio e l’intorpidimento della parte sinistra del corpo. La diagnosi: tetraparesi irreversibile da rottura dell’arteria basilare. Da quel giorno, i suoi occhi sono l’unica parte del corpo in grado di muoversi. Nel 2022 decide di ricorrere al suicidio assistito. Ma anche in questo caso l’iter è lento e neanche il messaggio che Fabio scrive, con mezzi tecnologici ad-hoc, viene accolto: “Caro Stato italiano, aiutami a morire”. Per mettere fine al suo calvario, iniziato 18 anni prima, ricorre alla sedazione profonda.
La speranza è che in futuro la strada verso una morte più dignitosa sia più facile. “Antonio” (nome di fantasia), 44 anni marchigiano, è diventato tetraplegico a causa di un incidente in moto e dal 2014 attende nel buio della mancanza di tempi certi i risultati degli esami già effettuati dal Servizio sanitario nazionale.
L’iter legislativo
Il vuoto legislativo dura da anni, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale del 2019 sul caso di Dj Fabo abbia ammesso il suicidio assistito. Una pronuncia che ha eliminato la punibilità del medico che prescrive il farmaco letale e specificato modi e tempi per l’accesso alla pratica. Il problema è che nessuna legge nazionale o regionale ne ha dato applicazione. Ed è proprio per questo che persone come Ridolfi hanno dovuto ricorrere a strumenti diversi.
Pochi giorni fa la mancata adozione di una legge ad-hoc in Veneto ha contribuito a riportare il suicidio assistito al centro del dibattito pubblico. Ma nelle Marche una prima proposta di legge era stata presentata al Consiglio regionale già nel luglio 2022. Se l’iter dovesse procedere senza problemi – al momento è arrivato in Commissione Sanità con la nomina dei relatori di maggioranza e opposizione Giorgio Cancellieri (Lega) e Maurizio Mangialardi (Pd) – le Marche potrebbero essere la prima regione in Italia a dotarsi di una legge.
“L’iscrizione nell’ordine del giorno del testo di legge è prevista per fine gennaio – dice Mangialardi al Ducato – la speranza è che entro febbraio possa arrivare in Consiglio”. Ma vista la posizione in Veneto di alcuni esponenti del Pd, il timore è che “possano emergere posizioni pregiudiziali giustificate da motivi etici”. Mangialardi, rifacendosi alle parole del governatore del Veneto Luca Zaia, dice: “Dobbiamo ragionare in funzione di una norma che dia la tempistica a una sentenza inequivocabile”. Tradotto: il suicidio assistito si può fare, ma serve stabilire modi e tempi.
La proposta nelle Marche del 2022
All’interno della proposta – presentata da Mangialardi insieme ai consiglieri pd Anna Casini, Andrea Biancani, Fabrizio Cesetti e Micaela Vitri e alla collaborazione dell’Associazione Luca Coscioni due anni fa – erano state inserite le condizioni per accedere al suicidio assistito che sono state confermate anche dal referente dell’Associazione Coscioni di Pesaro Ruggero Fabri al Ducato. La volontà deve essere manifestata in modo libero e autonomo, la persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e deve essere affetta da una patologia irreversibile. Quest’ultima deve causare sofferenze psichiche e fisiche intollerabili per la persona che deve essere capace di intendere e di volere. L’iter prevede il controllo di tutti i requisiti da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale previo parere positivo del Comitato etico territoriale competente. La prestazione deve essere gratuita. Un iter che dovrebbe durare in tutto una ventina di giorni.