di ANNALISA GODI
URBINO – Passare sul ponte della diga di Tavernelle in estate mette ansia, perché si guarda giù e il Metauro, che rifornisce di acqua gran parte della provincia, è quasi un rigagnolo. La situazione non è di certo migliore per gli altri corsi più piccoli e che sfociano in maggioranza in quello stesso fiume. Ogni anno la stagione estiva è sempre più calda e c’è sempre più bisogno di acqua.
In questo contesto arriva lo studio delle università di Urbino, Bologna e Ancona. Una serie di proposte, otto in tutto, in risposta alla siccità e ai cambiamenti climatici nella provincia di Pesaro e Urbino per evitare di dover razionare l’acqua alla popolazione. Tra queste la depurazione delle acque reflue cittadine per irrigare i terreni agricoli, un impianto di dissalazione dell’acqua di mare (che non si farà), laghetti per la raccolta della pioggia fino alla costruzione di una nuova diga.
Si trovano nel “Piano di azione per una gestione adattiva della risorsa contro siccità e scarsità idrica” presentato durante l’Assemblea dell’Ato (l’Autorità d’ambito territoriale ottimale di Marche nord) del 22 gennaio. “Non sarà possibile applicarli tutti e verrà fatta una scelta. Le risorse economiche non sono sufficienti” spiega l’ingegnere Michele Ranocchi, direttore dell’Aato.
Le strategie che ci aiuterebbero nella crisi idrica
Sette di queste strategie sono definite a breve-medio termine e saranno discusse in assemblea con i sindaci della provincia: “Siamo soltanto all’inizio di questo processo decisionale” dice il dirigente.
Nella prima, che viene definita “scenario 1” dagli autori della ricerca, si pensa a come poter sfruttare meglio le acque sotterranee, quindi i pozzi e in particolare quello di S. Francesco, di S. Anna e il pozzo di Burano. Questi ultimi due sono utilizzati di solito nelle situazioni di emergenza, ma il piano vorrebbe sfruttarli come risorse ordinarie.
Però prima di attingere da risorse che di solito sono emergenziali, sarebbe necessario ridurre al minimo le perdite nella distribuzione dell’acqua potabile, visto che lungo la rete idrica della provincia va sprecato il 38,1% dell’acqua che trasporta. Per farlo, nello studio si propongono “interventi realizzabili nel breve periodo”, ma non sono chiariti quali. Secondo i calcoli effettuati, teoricamente ci sarebbe un miglioramento della percentuale delle perdite idriche che varierebbe dal 27 al 29%.
Per evitare lo spreco di acque che ancora si possono sfruttare, lo studio propone di riutilizzare quelle reflue delle città per irrigare i terreni agricoli, sia depurandole (“riuso diretto”), sia mediante la ricarica della falda acquifera (“riuso indiretto”). Sul processo di depurazione, Ranocchi afferma che a Urbino negli scorsi anni si trattavano solamente il 40% delle acque reflue, mentre oggi si è arrivati al 100%, così come considera risolto il problema a Fano, Pesaro, Mondolfo e altre città della provincia.
Il tema della manutenzione e della gestione di quello che già si ha riguarda anche e soprattutto gli invasi già esistenti, che, secondo lo studio, in questo modo aumenterebbero la loro portata. Per quanto riguarda le dighe di Tavernelle e di San Lazzaro, la Regione Marche non ha fornito i dati che erano stati richiesti a maggio 2023, si legge nello studio.
Se si parla di emergenza idrica, come non pensare all’Adriatico. Per farlo sarebbe necessario dissalare l’acqua di mare e un impianto di desalinizzazione. Ranocchi ritiene che questa strategia sia quella meno fattibile, a causa del costo, visto che nella provincia non è presente, e della quantità di energia che richiede: “I dissalatori vengono costruiti solo in aree del mondo dove non si può farne a meno, ci sono nei paesi che possono accedere a delle fonti energetiche proprie e quindi ne controllano anche i costi. Qui in Italia ci sono nelle isole, perché far arrivare le navi cisterna con l’acqua costerebbe molto di più”, spiega l’ingegnere.
Per quanto riguarda l’agricoltura, questa utilizza il 37,5% dell’acqua disponibile nella provincia. Per ottimizzare l’irrigazione dei terreni, su cui sono state fatte solo delle stime, lo studio suggerisce di censire i pozzi agricoli privati e di migliorare i sistemi irrigui.
Piccoli laghi e una nuova diga
Un’altra possibilità per irrigare i terreni sarebbe quella di realizzare laghetti per la raccolta di acqua piovana o direttamente alimentati da un corso d’acqua. Secondo lo studio, i fiumi Metauro e Candigliano sarebbero in grado di alimentarli per 210 giorni all’anno. Per realizzarli sarebbe necessario impermeabilizzare il fondo, dotarli di una eventuale pompa di rilancio, fare la manutenzione del fosso di raccolta. Tuttavia nel documento non si parla di posti in cui poterli realizzare.
Infine, l’ultima proposta dello studio, che viene definita di medio-lungo termine, prevede la costruzione di una nuova diga ma non è stato identificato un sito. Ranocchi chiarisce: “Lo studio ha dei caratteri generali, per costruire una diga servono dei criteri oggettivi e scientifici, come la piovosità e le problematiche dell’interramento. La decisione di costruirne una e il luogo dove si penserebbe di realizzarla deve essere discusso dall’Assemblea dei sindaci”.
Il piano come base scientifica per gli interventi di Aato
Il piano dei tre atenei non specifica come devono essere attuate le otto strategie, ma serve come base scientifica per la pianificazione che l’Aato dovrà avviare per fare fronte alle crisi idriche future.
Il sindaco di Urbania e presidente di Aato, Marco Ciccolini, commenta: “Questo studio è uno degli obiettivi che ci eravamo prefissi nella Assemblea del dicembre 2021, quando ci siamo dati delle linee da seguire, esprimendo la volontà di approfondire la questione sulla siccità in modo puntuale e scientifico. Dobbiamo indirizzare i nostri sforzi nella riduzione delle perdite e nell’attivare ogni forma necessaria, anche grazie ai fondi Pnrr, per assicurare una migliore gestione della risorsa idrica”.
Se oggi dovessimo affrontare una siccità come quella del 2022, “avremmo gli strumenti per affrontarla, anche se dipende dal livello delle risorse ma fino ad oggi non si è tolta l’acqua a nessuno, facendo dei grossi sforzi”, conclude Ranocchi.