di MARIA CONCETTA VALENTE
URBINO – “Quando ero piccola non mi raccontava le fiabe ma mi faceva ballare. Ricordo benissimo il pezzo di Celentano Stai lontana da me, lo ballavamo insieme e mi divertivo tantissimo”. Racconta di un papà divertente, affettuoso e giocoso Caterina Volponi, l’ultima erede dello scrittore, poeta e politico urbinate Paolo Volponi, vincitore due volte del Premio Strega – nel 1965 con La macchina mondiale e nel 1991 con La strada per Roma. Il 2024 è il “suo” anno, essendo il centenario della nascita e il trentesimo anniversario della morte. Entrando nell’abitazione in via Matteotti, recentemente ristrutturata e sulla cui facciata è stata affissa una targa in sua memoria, si viene immersi da libri, scatoloni con documenti e quadri imponenti. La figlia ci racconta che lì ha trasferito tutto l’archivio che era custodito nella casa a Milano.
Com’è ricoprire il ruolo di erede di una vicenda letteraria, artistica e politica come suo padre?
È un ruolo un po’ particolare, non semplice, soprattutto nel mio caso che sono l’ultima rappresentante. Ci sono molti privilegi e fortune, ne sono consapevole, però si ha la responsabilità di salvaguardare la memoria di una persona che non c’è più, la sua opera e i suoi diritti. Mi sono trovata negli anni a prendere delle difese, piuttosto forti, nei confronti di alcune iniziative nelle quali si mescolava la figura di mio padre con altri tipi di commercializzazioni e intenzioni. È solo una difesa però, capisco che la memoria non sia solo la mia. Non c’è la volontà di rivendicazione, royalties e nemmeno la ricerca di visibilità personale alzandosi sulle spalle di un illustre predecessore. Semplicemente si cerca di difendere dei morti, per cui qualche volta bisogna avere anche la durezza di opporsi a iniziative, richieste o vicende che, almeno per quello che è il giudizio e la sensibilità personale, risultano poco consone o rispettose della figura di cui più o meno degnamente ci si trova a essere i difensori. Questo non tutti lo capiscono.
Grazie al suo lavoro di recupero sono stati ritrovati, tra pagelle e diplomi scolastici, i primi racconti di suo padre. Si è subito resa conto del valore?
Sono stati una bella scoperta, di valore documentale e di testimonianza, che ha consentito agli studiosi di rileggere l’opera maggiore alla luce dei primi esordi. Sono riemersi scritti giovanili che mio padre non prendeva in considerazione da decenni, racconti e poesie anche della sua lontanissima gioventù. È piacevole perché ti trovi di fronte a una persona diversa da quella che hai conosciuto e hai la possibilità di scoprirne il carattere e la psicologia. Un privilegio di chi ha un genitore creativo è poter entrare nella mente e nell’inconscio di quella persona, cosa che neanche da figli si riesce a fare. Questo nel caso del rapporto con un genitore è doppiamente significativo ma anche pericoloso. Un po’ perturbante. Come figlia alcune cose mi danno da pensare, ma anche come lettrice.
Quale rapporto aveva suo padre con Urbino? In uno scritto dice “sono stato aiutato dalla fortuna” per essere nato e aver vissuto qui.
Volponi è Urbino. Dire che Urbino è Volponi è troppo, però è un rapporto viscerale, totale, su cui si sono scritte intere biblioteche. Questa città è rimasta sempre al centro dei suoi affetti e ricordi, ci tornava più che volentieri essendo andato via da giovane. Direi che si sentiva fortunato perché Urbino è nobilissima, con una bellezza evidente, un grande retaggio e una storia importante. In una regione altrettanto bella e rilevante. Anche da un punto di vista politico la sua attenzione riservata a questo territorio era molta.
Secondo lei Urbino è in grado, lo è stata in questi anni, di valorizzare la figura di Volponi?
Sì, credo che Urbino sia sempre molto legata e orgogliosa di essere costantemente presente nell’opera di mio padre. Gli urbinati magari sono per natura piuttosto riservati, un pochino distanti, ma nelle occasioni di anniversari e intitolazioni c’è affetto e considerazione. Tutto il lavoro fatto con il Comune e l’Università dimostra una grande partecipazione. C’è da dire che ormai i testimoni diretti sono pochi, perché gli anni passano e anche le persone che conoscevano bene mio padre e la sua famiglia stanno piano piano sparendo. Ma mi pare che l’affetto rimanga.