Di RAFFAELE DI GAETANI
URBINO – Sei testimoni su sette erano in aula, mancavano però i sei imputati per sfruttamento della manodopera e i loro avvocati, forse per un errore di notifica. Per questo, “nell’ottica della piena tutela dei diritti di difesa degli imputati l’udienza è rinviata a giovedì 11 luglio” a pronunciare queste parole è stato la giudice monocratica Benedetta Scarcella. L’udienza che si sarebbe dovuta svolgere nel primo pomeriggio del 20 febbraio nella “Sala Cigliola” del Tribunale di Urbino è stata rinviata di quasi cinque mesi. A processo sono imputati sei uomini di nazionalità pakistana: Muhammad Tair, Muhammad A.Shahid, Muhammad Ishtiaq, Mudassar Shahid, Mubasher Shahid, Muzammal Shahid. Sono accusati di aver tenuto sotto il loro giogo altri connazionali.
Presenti nel Palazzo di Giustizia il legale di fiducia della parte civile Cgil Nicola Maria Ciacci e sei dei sette teste che avrebbero dovuto testimoniare davanti alla giudice e alla Pm Enrica Pederzoli. L’udienza che era stata inizialmente fissata per il 22 febbraio per poi essere anticipata al 20 febbraio. Potrebbero essere stato un problema nella notifica del cambio di data il motivo dell’assenza di tutti gli imputati e dei loro difensori di fiducia.
La storia
La vicenda era iniziata nel 2018 su impulso della Cgil che aveva presentato un esposto alla Procura della Repubblica dopo che alcuni lavoratori pakistani avevano raccontato dei soprusi subiti.
Secondo quanto raccontato al Ducato da Andrea Piccolo, che al tempo era un funzionario della Cgil (costituitasi parte civile), i lavoratori pakistani sarebbero stati costretti a lavorare senza avere la giornata di riposo. Il tutto per una cifra inferiore rispetto ai minimi previsti. Una parte dello stipendio sarebbe stato poi stato restituito ai presunti caporali per ricevere il rinnovo del permesso di soggiorno in Italia per motivi lavorativi.
L’azienda, una cooperativa di imballaggio e facchinaggio, era regolarmente registrata a Pesaro. Secondo le denunce dei lavoratori, che avevano regolare contratto, chi voleva usufruire delle ferie era costretto a licenziarsi e il tfr veniva trattenuto dai presunti caporali. Ad essere colpiti erano anche i lavoratori pagati a cottimo che venivano costretti ad eseguire la prestazione per evitare “sanzioni”. Gli stipendi inoltre erano di cinque euro l’ora, cifra inferiore rispetto a quelli indicati nel contratto collettivo nazionale del lavoro.
I presunti caporali si sarebbero approfittati della situazione di debolezza dei loro sottoposti. In queste situazioni infatti per i lavoratori è complicato denunciare sia per il timore che i controlli delle istituzioni portino all’espulsione, sia perché devono provvedere alle spese per mantenere la propria famiglia.