di MARIA SELENE CLEMENTE e RAFFAELE DI GAETANI
URBINO – “Il compleanno di mia madre è proprio il 24 febbraio. E ogni anno le faccio arrivare dei fiori. Ringrazio ancora il negozio per averli spediti anche due anni fa, nel giorno in cui scoppiò la guerra”. A dire queste parole è Iryna Guley, una giornalista ucraina di 34 anni che lavora a Kiev per il canale televisivo ucraino 1+1. Una giornata di festa per lei e la sua famiglia che coincide ormai anche con la data dell’invasione del suo Paese da parte della Russia.
Dopo l’inizio dell’aggressione, Iryna Guley aveva tenuto per il Ducato un diario dall’Ucraina invasa. In occasione del secondo anniversario della guerra, iniziata il 24 febbraio del 2022, Iryna racconta della paura che non vengano sbloccati altri aiuti dagli Stati Uniti, della libertà di espressione nel suo Paese e della morte del dissidente russo Navalny “per noi non è un eroe, diceva che la Crimea doveva essere parte della Russia”. Non solo, ha anche raccontato di come per la sua famiglia la guerra sia stata un momento di unione nella sofferenza.
Dove si trova ora?
Adesso sono a Kiev. La vita qui è quasi come prima della guerra. L’unica differenza è che di notte i russi bombardano. Abbiamo un’applicazione sul telefono che ci informa sulle zone che stanno per essere colpite e ci dice anche cosa vola sopra Kiev. Se sono dei missili dobbiamo rifugiarci, se sono esercitazioni russe no.
Ha un bunker vicino casa o alla sua redazione?
Quando siamo al lavoro usiamo il parcheggio sotterraneo. Io vivo al 17esimo piano quindi non ho molta voglia di scendere ogni volta che suonano le sirene. Ormai siamo talmente abituati che tanti restano a casa.
Kiev è una città più sicura di altre. Lo è solo in alcune zone?
Io vivo nel quartiere Vdng, nella parte sud-ovest della città. È tranquillo ma i russi molto spesso lo colpiscono perché c’è un piccolo aeroporto qua vicino che può essere usato dal nostro esercito per scopi militari. Quando arrivano attacchi russi, vengono neutralizzati ma i frammenti dei droni distrutti possono cadere sulle case.
Per quanto è stata lontana dalla sua città e quando ha deciso di tornare?
Sono stata nell’ovest del Paese per cento giorni. Poi, dopo tre mesi, abbiamo capito che i nostri militari erano riusciti a cacciare i russi e che potevamo tornare a casa ed essere più o meno al sicuro.
La sua famiglia?
Per un mese, durante questi due anni, siamo stati insieme a Lutsk, nell’ovest dell’Ucraina. Mio padre ricorda questo periodo, seppur difficile, con felicità. Stare insieme non sarebbe stato possibile nella normalità perché i miei genitori vivono in un villaggio vicino a Odessa, a quasi 500 chilometri di distanza. Prima della guerra ci volevano cinque ore per raggiungerli. Ora, dato che i russi hanno distrutto un ponte, devo fare un giro molto lungo e passare due volte la frontiera con la Moldavia: prima uscendo e poi per rientrare. Ci sono i controlli e quindi ci vuole molto tempo.
La guerra sta per entrare nel suo terzo anno. Come racconterebbe la situazione attuale?
La preoccupazione è tanta ed è simile a quella dei primi giorni. Gli Stati Uniti non riescono ad approvare il finanziamento sulle armi per l’artiglieria (60 miliardi di dollari). La Regione di Kharkiv era stata stata liberata, ma dopo un anno e mezzo i russi si sono ripresi e avanzano. A Zaporizhzhia, 50 mila militari russi sono là pronti all’assalto. Poi c’è sempre il Donetsk dove gli attacchi arrivano da cinque direzioni. È una situazione difficile anche perché gli ucraini non volevano che venisse cambiato il comandante in capo dell’esercito, ma Zelensky lo ha fatto lo stesso e senza dare spiegazioni. I nostri militari hanno lasciato Avdiivka a causa di questa scelta. Non sappiamo quanti soldati sono caduti o fatti prigionieri e l’autorità ucraina cercherà di coprirlo.
Ritiene che in Ucraina ci sia adeguata libertà di espressione e critica anche nei confronti delle scelte di governo e della guerra?
Ci sono stati molti scandali sulla corruzione e i giornalisti sono liberi di criticare Zelensky. Solo in alcuni casi l’atteggiamento verso di loro non è stato corretto. Per esempio c’è un giornalista noto per essere molto critico nei confronti del presidente e a lui non è stato dato l’accesso a una conferenze stampa di Zelensky perché ogni volta faceva molte domande scomode. Ma è una eccezione e può succedere anche in altri Paesi. Non c’è oppressione.
Venerdì 16 febbraio è stata data la notizia della morte del dissidente russo Alexey Navalny. Come si parla di lui in Ucraina?
Da noi si parla tanto di questo caso. Lui diceva che la Crimea doveva essere parte della Russia. Per noi non è un eroe e non è visto come un pensatore liberale. Non lo vedevamo come una persona che poteva cambiare la Russia. Voleva un futuro migliore per loro ma senza riguardo ai vicini.
Cosa pensa delle prossime elezioni in Russia?
Per me è interessante perché tutti sanno già quale sarà il risultato, allora che senso hanno? Se Putin si permette di uccidere Navalny perché fa finta di essere in uno stato democratico?
Lei ha colleghe o colleghi russi con cui è in contatto?
No. Psicologicamente è dura. La mia testa sa che non tutti i russi vogliono un pezzo del mio Paese. Ma vedendo la situazione tragica io non riesco a parlare con i russi come se nulla fosse successo.
Tornando al 24 febbraio. Come può definire la situazione che vivete adesso?
C’è stanchezza psicologica. Io non ho voglia di uscire di casa. Domani con una mia amica andrò in un museo, cerchiamo di avere il minimo. Fare cose che tirano su il morale. Adesso ristoranti e ospedali funzionano normalmente. La vita prosegue. Ma una volta ho chiamato per avere una visita oculistica. La signora al telefono mi ha detto: “In caso di sirene non si preoccupi, abbiamo il rifugio”. Ho pianto perché questa frase mi ha fatto tornare al presente, e nel presente ci sono i rifugi perché c’è la guerra.
Ritiene che quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza abbia ridotto lo spazio di attenzione riservato alla guerra in Ucraina?
Da noi si è parlato tanto di quello che è successo là. La mia capa quando ne parlavamo mi ha detto di avere paura che il mondo avrebbe parlato di loro e non di noi. Abbiamo molta sofferenza ed è difficile avere la reazione adeguata a quello che sta succedendo. Mi ricordo che all’inizio cercavo di non leggere tutto per eliminare un po’ di dolore. Lo stato psicologico degli ucraini è difficile, manca poco per finire in una depressione e dobbiamo eliminare le cose negative che possiamo nella nostra vita.