di MARTINA TOMAT
URBINO – A giocare con Cicciobello nelle pubblicità è sempre una bimba. Le costruzioni Lego rosa hanno meno pezzi e sono nel reparto femminile come a dar per scontato la minor abilità pratica. E poi i sussidiari, intrisi di stereotipi: la mamma che si occupa delle faccende domestiche, sempre instancabile e sorridente, e l’uomo che invece poltrisce, un po’ come Homer Simpson. Gli stereotipi di genere si annidano ovunque e forgiano, fin dall’infanzia, i modi di fare e di pensare. Come fare a combatterli e che ruolo può avere l’editoria nella costruzione della parità di genere? Se ne è parlato oggi a Palazzo Petrangolini durante un incontro, patrocinato dal Comitato unico di garanzia dell’Università (Cug) e inserito tra le iniziative legate all’8 marzo, con Monica Martinelli, fondatrice della Casa editrice Settenove di Cagli.
Sussidiari e super mamme
“Nei libri per bambini e sussidiari spesso la bimba è alla ricerca del principe azzurro, la saputella ha sempre gli occhiali, le mamme indossano il grembiule. Il cattivo, invece, è rappresentato come brutto. Allo stesso modo, le donne sono multitasking, c’è la super mamma che fa tutto, dà un bacino ai figli e sorride, senza mai dare alcun segno di stanchezza”, afferma Martinelli. La sua casa editrice Settenove è nata dieci anni fa con l’obiettivo di sradicare sul nascere e decostruire gli stereotipi che influenzano inevitabilmente la crescita dei più piccoli nei quali “l’istinto è in costruzione”.
I sussidiari, però, seguono modelli e cliché sia nelle illustrazioni – ad esempio, è molto più comune la rappresentazione di famiglie bianche – sia negli esercizi di completamento. Così ci sono riferimenti che sfociano nel body shaming, come in un esercizio in cui la frase “Lucia è troppo grassa” è da collegare a “per indossare la minigonna”. Oppure come nel caso di un libro per l’infanzia, In forma ragazzi. Storie di sport e vita sana (La Spiga), pubblicato nel 2023, contenente la storia Il bruco e la farfalla. Il racconto parla di una bimba con la vita troppo grande e la passione per la ginnastica artistica. La piccina, triste perché fatica a svolgere gli esercizi, si ingozza di merendine. E ai campionati regionali della scuola, dove la maestra l’aveva convocata solo per far divertire il pubblico, inciampa tra la vergogna della sua famiglia.
Un bimbo non può giocare a fare il papà?
Durante l’incontro, a cui ha preso parte anche la presidente del Cug Raffaella Sarti, si è discusso anche del ruolo dei giocattoli, capaci di dare un grande imprinting ai più piccoli. Una ricerca inglese del 2016 sui cataloghi di giochi di nove Paesi (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Gran Bretagna) rivela che su 32 cataloghi analizzati ben 12 sono divisi in modo netto tra maschi e femmine. I restanti 20 però, pur non avendo questa distinzione marcata, la evidenziavano tramite l’uso dei colori. Più in dettaglio, trucchi e bambole sono prettamente femminili, così come gli attrezzi da casalinga o i travestimenti da principessa. Ai bimbi spettano invece gli escavatori o i costumi con le professioni da poliziotto, dottore o pompiere.
“Un’eccezione è la Vileda (conosciuta per i suoi prodotti per la pulizia della casa, ndr) – spiega Martinelli – che nelle pubblicità dei propri giocattoli include anche i bimbi. Un modus operandi che riprende la linea seguita dall’azienda nella vendita dei suoi prodotti in cui sono presenti anche uomini. Tuttavia i maschi non sono mai associati ai bambolotti: ma se una bimba gioca a fare la mamma, perché un bimbo non potrebbe voler giocare a fare il papà senza sentirsi sbagliato?”.
Conoscere il corpo umano
“Bisognerebbe poi parlare anche ai più piccoli del fatto che il corpo umano può essere diverso, senza insistere sull’idea di un corpo perfetto”, aggiunge Martinelli. Il dialogo, inoltre, dovrebbe includere anche argomenti spesso ritenuti tabù: dall’educazione sessuale ai cambiamenti dell’adolescenza. Un esempio sono i peli sotto le ascelle che raramente compaiono nelle illustrazioni.
La conoscenza del corpo può diventare anche uno strumento grazie al quale comprendere situazioni di disagio o violenza: “C’è stato un caso di molestie da parte di un familiare su una bimba di tre anni: la mamma non lo aveva capito perché la bambina non sapeva che nome dare alle parti intime. La madre si è poi pentita di non averglielo insegnato per pudore”.
Allo stesso modo è importante insegnare a dire di no “per far familiarizzare i più piccoli con il consenso e i limiti che possono o non possono essere superati nelle relazioni”. Conoscere e comunicare i propri spazi, che differiscono da persona a persona, è fondamentale: “Io sono abituata a salutare con un abbraccio – dice Martinelli – ma ho capito che può dare fastidio”.
Crescere senza paletti “influenzanti”
Ognuno di noi ha un “curriculum nascosto”: è il bagaglio di idee ed esperienze che ogni persona si crea tramite le influenze della famiglia e dell’ambiente sociale in cui cresce. Per costruire bene questo bagaglio – è il messaggio dell’incontro – è fondamentale che l’educazione, come scriveva Elena Gianini Belotti nel libro Dalla parte delle bambine, non tenti di “formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale”.