Le donne nella narrativa di Paolo Volponi: “Oggi sarebbe femminista”

di MARIA CONCETTA VALENTE

URBINO –  Se si parla di personaggi femminili nella narrativa di Paolo Volponi, la prima a venire in mente non può che essere Vivés, la protagonista pasionaria del romanzo Il sipario ducale (Garzanti, 1975). Una combattete di grande spicco che segna un prima e un dopo nella narrativa dell’autore urbinate. Su questo concordano il filologo e critico letterario Massimo Raffaeli e l’editrice Agnese Manni, intervenuti in uno degli eventi del “Festival off” che accompagna il Festival del giornalismo culturale. Il tema della 12esima edizione – Lo sguardo femminile nel giornalismo culturale – incontra così uno dei massimi narratori del secolo scorso che si identifica strettamente con la città ducale: “Volponi è Urbino e viceversa”, ha esordito Raffaeli.

Massimo Raffaeli, Filologo e critico letterario

Il critico accompagna i presenti nella Sala delle Veglie a Palazzo Ducale, in un viaggio letterario dagli anni ’60 ai ’90, suddividendolo in tre fasi. Poi, la riflessione su come Volponi vivrebbe l’attuale condizione delle donne. La Manni lo immagina femminista, Raffaeli un uomo sicuramente dalla mentalità aperta. Femminista o no, l’autore ha guardato al femminile con un occhio da studioso, letterato e grande poeta.

I tre periodi dei personaggi femminili

Nel primo periodo Raffaeli identifica un rapporto ambivalente tra Volponi e i personaggi femminili della sua poetica e narrativa: “Da un lato c’è una forte idealizzazione, quasi stilnovistica, dall’altra una presenza fisica incombente e molte volte ambigua”. Dagli anni ’70 c’è il passaggio alla fase successiva, “ma non perché cambi Volponi, ma perché cambia il mondo”. Con Il Sipario ducale, per la prima volta un personaggio femminile diventa protagonista leggendaria. Vivés è una donna virulenta e di grande cultura, un’anarchica che vive a Urbino e che ha combattuto in Spagna contro Franco. Il romanzo è ambientato nel periodo successivo alla strage di piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969. “Lei capisce subito cosa è successo e vuole andare lì per combattere, facendo davvero la partigiana”, racconta Manni. “Era una donna che leggeva e studiava. Molto pratica rispetto al compagno Subissoni che stava sempre un passo indietro per non disturbarla. È un personaggio enorme, bellissimo”, continua l’editrice.

In Vivés, Raffaeli vede qualcosa del carattere indimenticabile di Giovina, la moglie di Volponi: “Era una grande intellettuale, una donna di grande cultura e presenza”. E poi c’è la terza ed ultima fase, ben rappresentata dal romanzo Le mosche del capitale (Einaudi, 1989), in cui le donne, spiega il critico, “hanno il destino degli uomini”. “È il periodo in cui tutto è diventato merce e c’è uno sguardo letteralmente apocalittico”, chiosa Raffaeli.

E oggi?

Agnese Manni, editrice

“Volponi è come i classici, uno scrittore che non smette mai di dire quello che deve dire e forse oggi parla al mondo meglio di 30 anni fa”. Alla domanda come vivrebbe e cosa direbbe l’autore urbinate sull’attuale condizione femminile, Raffaeli dice: “Posso immaginare che sarebbe un uomo aperto, infinitamente critico della realtà, cosa che però non posso attribuirgli retrospettivamente”. Osa un po’ di più Manni, dicendo che per lei sarebbe senza dubbio femminista: “Secondo me in quegli anni non ci si rendeva conto di essere immersi in un sistema patriarcale, in cui le donne venivano ‘colonizzate’ dagli uomini, nel senso che erano i padroni e mettevano loro un’altra identità. Oggi invece, sarebbe stato attentissimo alle istanze di lotta che si stanno portando avanti, perché lui era portatore di giustizia sociale. Sarebbe stato femminista, tra i più incazzati dei femministi”.

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