FgCult 2024 – Palumbo: “Riscriviamo la storia per uscire dal pregiudizio di genere”

Valeria Palumbo credits: Carlo Rotondo
di ANNALISA GODI

URBINO – “La storia dell’umanità è stata raccontata dai maschi bianchi occidentali, ma da tempo viene messa in discussione da chi maschio bianco occidentale non è”. Valeria Palumbo, storica delle donne e giornalista, ospite sabato 5 ottobre alle 15.30 del Festival del giornalismo culturale, è convinta che i tempi siano maturi per un cambio di narrazione.  

“Contrariamente a quanto ci hanno insegnato a scuola”, spiega, “le fonti storiche non sono obiettive ma sono fonti maschili di potere e, nel momento in cui raccontano di donne che hanno avuto un’influenza sugli eventi, le descrivono come prostitute e intriganti, mosse da un impulso di tipo sessuale”. Una visione miope che finisce con il mettere in ombra il ruolo cruciale che alcune hanno rivestito pur vivendo in epoche profondamente maschiliste.

Lo spazio delle donne risiede nei rapporti non formalizzati

Infatti, se sono state poche le donne ad avere esercitato il potere direttamente – Cleopatra, Elisabetta I d’Inghilterra, Caterina II di Russia per citarne alcune – molte di più sono state quelle che l’hanno esercitato attraverso ruoli e rapporti non formalizzati.

Palumbo parla di “diplomazia parallela” e cita Virginia Oldoini, la contessa di Castiglione che proclamava di aver fatto l’Italia e salvato il papato, senza però avere mai trovato un posto nel Pantheon dei fondatori della patria: “È stata descritta dagli storici dell’Ottocento come una donna che si è concessa a Napoleone III, mentre era un’agente dei Savoia, poi dello stesso monarca francese ed è stata l’unica ad averlo avvertito dell’imminente pericolo prussiano. Ha poi inviato una lettera al cancelliere tedesco Bismarck avvertendolo di non ‘stravincere’, perché una tale gestione della vittoria avrebbe comportato un odio profondo che sarebbe durato per generazioni, com’è poi successo”.

Virginia Oldoini, contessa di Castiglione – Foto di Pierre-Louis Pierson

Il pregiudizio sociale: da sempre un’arma contro le donne

Adulata e criticata in vita, ha finito con l’essere travolta dalla macchina del fango. Vittima del pregiudizio sociale, come a lungo accaduto alle donne che hanno provato ad uscire dai ruoli di madre e moglie assegnati loro dalla società maschilista. Alcune poi, subendo un ostracismo maggiore dopo la morte. “Pensiamo a Trotula, la famosa medichessa salernitana, che ha goduto di grande fama durante la vita, ma attorno all’Ottocento, quando s’inventa la storia della medicina di stampo maschile, s’inizia a mettere in dubbio la sua stessa esistenza: in quanto donna non poteva essere realmente esistita. La sua identità di genere ha fatto sì che le sue scoperte, realizzazioni, conquiste, siano state riattribuite agli uomini o negate”.

Raffigurazione di medica, forse Trotula, da un manoscritto medievale

Oltre a riparare le ingiustizie eclatanti, come quelle di cui sono state vittime Trotula o la contessa Oldoini, Palumbo suggerisce di fare un passo in più: “Non dobbiamo inserire le donne negli spazi angusti lasciati dagli uomini. Dobbiamo cambiare il modo in cui la storia viene studiata, uscendo dalle logiche di successione di poteri politici e domini violenti lasciateci in eredità dai cronisti romani”. Come? “Se ci concentrassimo sulla storia della fame, delle migrazioni, delle invenzioni, le donne sicuramente farebbero parte della narrazione” perché gli avvenimenti politici, di cui tanto parlano i libri di storia, sono conseguenze di eventi climatici, sociali ed economici nei quali le donne hanno avuto un ruolo, “protagoniste al cinquanta per cento, tanto quanto gli uomini”.

Un racconto plurale e inclusivo per la storiografia femminile e non solo

Il lavoro per riportare al centro le donne e costruire una storiografia femminile è già iniziato: “Prima è stato necessario riportare fuori dall’oblio tutte le donne protagoniste della storia, screditate per il loro genere, ripulendole dalla crosta della narrazione maschilista. Mentre ora è il momento di ribaltare la situazione e pensare alla riscrittura del racconto generale, che non può più essere un racconto unico ma deve essere un racconto plurale e inclusivo”.

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