Fgcult 2024 – Sicuro: “Raccontare una guerra è offrire un punto di vista diverso. Tante colleghe valide ma ai vertici ancora uomini”

Il giornalista inviato speciale della redazione esteri della Rai Giammarco Sicuro
di ANDREA BOCCHINI

URBINO – A Hanoi, in Vietnam, l’orologio è avanti di cinque ore. Con il fuso orario occorre imparare a convivere quando si fa questo lavoro. Ma ora non c’è tempo. Si va di fretta. Destinazione: aeroporto. Zaino in spalla, fotocamera sempre a portata di mano e taxi preso al volo. Si torna a casa ma chissà la prossima volta dove si atterrerà. Anzi cosa si racconterà. È una (piccola) parte della vita di Giammarco Sicuro, inviato Rai per il Tg3 e fotoreporter di guerra, oltre che ex allievo dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Sarà ospite, il prossimo 5 ottobre, alla dodicesima edizione del Festival del giornalismo culturale, con un panel dal titolo Le inviate. A Sicuro abbiamo chiesto rischi, mandato sociale, curiosità e motivazione di un reporter. Ma anche, con sguardo femminile (tema del Festival), le differenze di genere che possono incontrarsi in certe zone di conflitto.

Giammarco Sicuro dove ti trovi ora?

Sono in Estremo Oriente. Precisamente in Vietnam ma sto rientrando.

Cosa ti porta lì?

Sono qui per raccontare popolazioni lontane che non riescono a trovare voce. Arrivare qua significa scoprire tanto e diffondere queste informazioni in Italia.

Quindi ti ha spinto la curiosità?

Sicuramente è la prima cosa, senza curiosità è impossibile fare questo mestiere. Ma poi c’è anche la possibilità di conoscere i luoghi e soprattutto questa missione di rompere pregiudizi. Ritengo che sia bello cambiare idea su alcune cose (se non tutte) e cercare di spiegare alle persone a casa che la realtà non è proprio quella che immaginano.

Ucraina, Afghanistan, Israele, Sud America. Zone di conflitto. Cosa significa raccontare una guerra?

Cercare di offrire un punto di vista diverso. Le guerre sono il racconto dei racconti. E il modo in cui si sceglie di raccontarle influisce molto sulla pelle delle persone che le vivono ogni giorno.

Influisce? In che modo?

Pensa a cosa comporterebbe riportare un conflitto in maniera sbagliata, discriminatoria, forzata o pregiudiziale. Significherebbe mettere in pericolo la vita di molti.

Social media, citizen journalism e trasmissioni in tempo reale. Ha ancora senso rischiare la vita e andare lì sul posto?

Avere il maggior numero di giornalisti sul territorio e investire negli inviati, diminuisce statisticamente la possibilità di cadere in fake news, propaganda o informazioni superficiali.

Raccontare un conflitto, c’è qualche differenza se a farlo è una donna?

Ritengo che entrambe le sfere – femminile e maschile – siano dei diversi approcci alla vita. Ognuno dentro di noi ha una parte femminile e una maschile e questo implica dei comportamenti che possono riferirsi all’una o all’altra sfera. Pensiamo, ad esempio, all’empatia, alla sensibilità o alla capacità di ascolto. Caratteristiche centrali nel giornalismo e sociologicamente affiancate al mondo femminile. Ecco penso che le donne, proprio in virtù di queste proprietà, abbiano una marcia in più nel raccontare un conflitto.

Hai notato un aumento di inviate da quando hai iniziato questo mestiere?

Sì assolutamente. Da decenni il giornalismo può contare su delle valide colleghe. E nel mondo esteri vedo una parità di genere. Purtroppo non posso dire la stessa cosa per i vertici delle redazioni dove c’è ancora una netta maggioranza di uomini.

Essere un uomo è stato (a volte) un elemento facilitatore in certe zone?

Purtroppo sì. Ti faccio un esempio: ero in Afghanistan ed ero affiancato da una collega italiana. Io avevo la possibilità, in quanto uomo, di lavorare tranquillamente e fare determinate cose. Ma lei purtroppo veniva molto limitata. In certe aree, c’è un forte senso di patriarcato. Ma non solo in Medio Oriente. Penso anche ad alcune zone del Sud America.

Sei stato ispirato da alcuni o alcune insegnati?

Sì. Rita Mattei. È stata la mia prima capocronista. Mi ha accolta nel Tg nazionale e mi ha fatto fare i primi pezzi da inviato. Rita ha una lunghissima esperienza nel raccontare l’Italia e il mondo. Per me è stata una grande fonte di ispirazione e ho sempre pensato di essere un privilegiato nell’averla.

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