Fgcult 2024 – Il Premio Strega Di Pietrantonio: “Siamo tutte delle sopravvissute”

Il Premio Strega 2024 Donatella Di Pietrantonio
Di CHIARA RICCIOLINI e RAFFAELE DI GAETANI

URBINO – Le donne di ieri e di oggi. Le donne sopravvissute alle violenze, alle privazioni, ai pregiudizi di genere e a volte anche all’ostilità delle istituzioni sono le protagoniste di molti dei racconti e dei romanzi di Donatella Di Pietrantonio, premio Strega 2024 con il romanzo l’Età fragile. Pacata nei modi e ribelle per istinto, il 5 ottobre sarà al Festival del giornalismo culturale di Urbino proprio per parlarci delle donne che affollano i suoi libri. Chi sono? Ma soprattutto da dove nascono? “Io scrivo solo di ciò che mi colpisce, mi riguarda o mi attraversa” ci ha risposto prima di introdurci con una lunga chiacchierata nel suo mondo: l’Abruzzo di quando era bambina, gli anni di studio e di lotta per l’emancipazione femminile. E ovviamente il presente, quello a cui ha deciso di prestare la sua voce di scrittrice e intellettuale. Insignita del più importante premio letterario italiano, ha infatti promesso di difendere i diritti delle donne.

Di Pietrantonio, quando ha vinto lo Strega lei non si è limitata a ringraziare, come sempre accade, gli amici della domenica e il suo editore. Lei si è assunta un impegno politico. Perché?

Spesso, in quanto ultrasessantenne, mi meraviglio nel vedere messi in discussione diritti che la mia generazione aveva ormai dato per scontati. Ne cito uno per tutti: la legge sull’aborto. Ci troviamo a fare i conti quotidianamente con attacchi a qualcosa che era acquisito e strutturato nella nostra società. Voglio essere esplicita, parlo della coalizione al governo in Italia: da una parte si dice che la legge 194, per cui generazioni di donne hanno lottato, non verrà toccata; dall’altra la si svuota da dentro e la si rende inapplicabile. Pensiamo alla forte prevalenza di medici obiettori di coscienza in diverse regioni del Paese. La legge c’è, ma nella pratica quando le donne si presentano in ospedale non trovano nessuno disposto ad aiutarle, i diritti restano tali solo sulla carta.

Le generazioni che hanno lottato per acquisire questi diritti hanno commesso degli errori? Potevano fare di più?

Sono arrivati fin dove gli è stato possibile partendo da zero. Sicuramente non hanno raggiunto tutti gli obiettivi, ma l’aspettativa era quella di un miglioramento, anche imperfetto, e invece ci troviamo a dover combattere ancora per il minimo. 

E le ragazze di oggi? Come le sembrano rispetto a quelle della sua generazione?

Quando io ero giovane c’era più partecipazione, più donne coinvolte nelle battaglie. Però le ragazze di oggi mi sembrano più consapevoli e libere. Noi ci stavamo liberando, ma eravamo ancora intossicate dai disvalori del patriarcato. Parlo per me stessa. Lottavo per le mie libertà personali minime. Non potevo uscire con i ragazzi e dovevo conquistarmi un po’ di vita raccontando tante bugie. Lottavo per me stessa, ma anche per tutte. Partecipavo alle manifestazioni e agli scioperi già negli anni del liceo e nello stesso tempo rimanevo fedele al mandato familiare. Da una parte studiavo e sono diventata una libera professionista, mi sono emancipata economicamente. Nello stesso tempo però ho anche continuato disperatamente a cercare di fare entrare nelle mie giornate tutto quello che aveva fatto anche mia madre, per esempio il lavoro domestico. Ho sempre cercato di fare molto, troppo. Continuavo a essere anche una donna del passato. Sentivo che certe cose toccavano a me. C’era su di noi donne dell’epoca l’aspettativa che le figlie femmine restassero vicine alla famiglia di origine a occuparsi dei genitori. Beh, in fondo io l’ho fatto.

Si è definita figlia del patriarcato, quello “duro, roccioso e primitivo”. Che cosa vuol dire? 

Il patriarcato è stato sicuramente pervasivo in tutti gli strati della società e in tutti i luoghi, ma nel posto in cui io sono nata e cresciuta era diverso. Era un ambiente rurale, un mondo di contadini e pastori in cui veniva applicato in modo abbastanza primitivo. Le figlie femmine non c’era proprio il desiderio che nascessero e quando accadeva era una delusione, soprattutto per i padri. Le aspettative su di loro erano molto basse, si voleva che rimanessero vicino alla famiglia di origine per poi, quando ce ne fosse stato bisogno, prendersi cura dei genitori vecchi e fragili. 

La sua carriera letteraria è cominciata tardi, ha pubblicato il suo primo libro a quasi cinquant’anni. Da giovane ha fatto una scelta diversa, studiare odontoiatria. Come mai, essere donna ha avuto un peso?

Quella scelta c’entra più con il ceto sociale e in realtà io sono stata una privilegiata. I miei genitori hanno deciso di farmi studiare anche se femmina, si sono molto sacrificati perché le condizioni economiche non erano floride. Sono stata io, proprio in considerazione della nostra situazione, a orientarmi verso una professione che fosse subito spendibile sul mercato del lavoro e che fosse comprensibile per la mia famiglia: il mal di denti prima o poi ce l’avevano tutti.

Cosa sognava di fare in realtà?

A 19 anni quello che avrei voluto veramente studiare era giornalismo. Ero una forte lettrice di quotidiani, prendevo La Repubblica tutti i giorni, ma in casa non ho avuto il coraggio di dirlo. Per i miei sarebbe stato assurdo, un mondo troppo lontano da loro.

L’ha vissuto come un rimpianto? 

Non ci ho pensato molto: mi sono dedicata al mio lavoro e ho continuato a interessarmi all’attualità. Quando ho iniziato a pubblicare libri ho smesso proprio di pensarci. In fondo, quello che volevo veramente era scrivere romanzi o racconti. Adesso poi, scrivo anche per i giornali… Alla fine tutto è giunto a compimento.

Come è arrivata a vincere premi importanti come il Campiello e lo Strega? 

“La scrittura è un bisogno che mi accompagna fin da bambina. Scrivevo per poi chiudere i fogli nei cassetti, buttarli o bruciarli. A un certo punto non mi bastava più. Dentro di me c’era la speranza che questi scritti potessero arrivare a un pubblico più largo e così ho cominciato a inviarli a un piccolo editore che li apprezzava. Poi ho confessato a Elliot di essere al lavoro su un romanzo, Mia madre è un fiume in piena. Da lì è stato un crescendo. Con L’Arminuta sono approdata a Einaudi e a un riconoscimento importante, il Premio Campiello.

Poi lo Strega, a cui è stata candidata più volte, ma che ha vinto con l’Età fragile, un romanzo dedicato alle sopravvissute. Chi sono?

Le sopravvissute sono un po’ tutte le donne che ogni giorno devono combattere. Recentemente si è tornati a parlare di gap salariale, Mario Draghi ha detto che chi paga meno le donne deve sapere che questo è anticostituzionale. Ecco, in generale siamo tutte sopravvissute, ma la dedica di questo romanzo è riferita in particolare alle donne sopravvissute a violenza, quindi a traumi molto forti. Trovo che vengano dimenticate in fretta, come se in fondo fossero fortunate perché l’hanno scampata, non sono morte. Non è così, le sopravvissute vivono una vita che sarà per sempre segnata dal trauma e io credo che questo vada ricordato.

Nel romanzo tocca anche il tema del femminicidio. Lei scrive pensando di lanciare un messaggio ai lettori?

Io scrivo di qualcosa che mi colpisce o mi riguarda, che mi attraversa. Credo che la qualità della letteratura sia proporzionale a quanto chi scrive si mette in gioco. Non scriverò mai di qualcosa che non mi appartiene. Detto questo, nel momento in cui scrivo sul femminicidio mi aspetto che al lettore arrivi la mia posizione. Se le lettrici, e soprattutto i lettori, possono trarre qualcosa dal mio pensiero ne sono felice.

Sta già lavorando a un altro romanzo?

Ho detto che questo potrebbe essere il mio ultimo romanzo, ma la verità è che in questo momento non lo so. Sono sempre in giro per festival, non riesco ad applicarmi a un progetto di lungo respiro, a un romanzo che richiede anni e una quantità di energia incredibile. Mi piacerebbe una forma più frammentata, come una raccolta di racconti in cui ne scrivi uno, lo finisci e poi ne fai un altro. Ma su questo sono sempre pronta a contraddirmi: quando arriva qualcosa di forte non puoi ignorare quello stimolo. Non escludo che fra un anno, quando sarò nel silenzio, mi metterò al lavoro per un altro romanzo.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi