Fgcult 2024 – Sensibilità e lavoro sul campo. La marcia in più delle donne sociologhe. Ma manca la solidarietà

Presentazione della ricerca "Le donne alle origini della sociologia italiana" al Festival del giornalismo culturale 2024 di Urbino
Di MARTINA TOMAT

URBINO – La sociologia è donna. Un concetto che rimbalzava da anni nelle aule in cui Mariagrazia Santagati insegnava. Ma che fuori dall’Università non veniva ribadito e sottolineato abbastanza. Un pensiero che meritava di essere approfondito. Nasce così, sgomitando, l’idea di una ricerca sulle Donne alle origini della sociologia italiana, un lavoro che mira a valorizzare e soprattutto scoprire il contributo dato dalla figura femminile in questo ambito. I risultati della ricerca (guidata dai dottorandi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano col contributo dell’Università Bicocca e di quella di Salerno) sono stati presentati a Palazzo Bonaventura, nel panel inaugurale del dodicesimo Festival del giornalismo culturale .

“Nel 2020, quando ha preso forma l’idea della ricerca le sociologhe erano 369, gli uomini 478” spiega Santagati. Numeri alti che hanno reso fertile il terreno per l’indagine: “Volevamo conoscere la storia delle nostre sociologhe. Tante erano vicine alla pensione”. Un’occasione irripetibile per ripercorrere le tappe più salienti della loro vita. Tra le sociologhe intervistate, 57 nate fino al 1950, c’è anche Lella Mazzoli, direttrice del Festival, tanto colpita dall’indagine da volerla all’interno di questa edizione incentrata proprio sullo sguardo femminile nel giornalismo culturale.

La direttrice del Festival del giornalismo culturale Lella Mazzoli

Scalze e coraggiose

“Si tratta di una ricerca plurale che vuole intrecciare vita privata e professionale” spiega Cecilia Cornaggia, un’altra delle promotrici della ricerca che elenca alcune delle dichiarazioni più interessanti raccolte dall’indagine. Le interviste, come tessere di un puzzle, mostrano sguardi diversi che confluiscono nello stesso orizzonte. Emerge per esempio il richiamo della sociologia per avere un impatto concreto sul mondo. “Faccio la sociologa perché ho fatto il 68 (il riferimento è al movimento del 1968, caratterizzato dalle contestazioni giovanili ndr)” ha dichiarato una delle intervistate per la ricerca, mentre per un’altra: “Lo studio a volte si confonde con la militanza”. Altro concetto venuto a galla è il bisogno della ricerca immersiva, non sfogliando i libri ma esplorando in prima persona, sfruttando tutti e 5 i sensi: “Si fa col corpo andando sul campo” dice un’altra sociologa interpellata nell’indagine. “Sono una sociologa scalza” ribadisce un’altra. A balzare all’occhio è anche la sensibilità, ritenuta tratto distintivo delle sociologhe donne: “Quel quid in più che hanno”. Una carrellata di storie e interviste alle pioniere della sociologia italiana che mette in luce anche la difficoltà di alcune di loro di farsi strada in un mondo prettamente maschile: “Un mondo nuovo in cui arrivavo sguarnita in tutti i sensi”.

Le docenti e ricercatrici Cecilia Cornaggia e Mariagrazia Santagati

Come un tetto di cristallo

A emergere dalla ricerca è anche una sfumatura negativa: la mancanza di solidarietà femminile. Un concetto che è indagato dalla sociologia stessa e scoperchiato da Graziella Priulla, esperta della materia e saggista, ospite del panel: “Gli uomini sono abituati da sempre alla solidarietà. Dai campi di calcio ai soldati in guerra. Le donne invece erano rivali: bisognava lottare per un uomo senza cui non si campava. Non erano abituate a fare squadra”. Un atteggiamento inconscio che abbraccia diversi campi:” L’Italia è 87esima nel mondo per gender gap, soprattutto nel mercato del lavoro – continua Priulla – mi piace la metafora del soffitto di cristallo: quello in cui  sbatti la testa e ti fai più male perché non lo vedi, perché tutto il cemento (delle privazioni alle donne ndr) che avevamo sopra la testa lo abbiamo eliminato, non ci sono leggi che impediscono alle donne di fare qualcosa, sono gli stereotipi che vivono nella nostra testa a bloccare in maniera inconsapevole”.

La sociologa e saggista Graziella Priulla

Un maschilismo che serpeggia ancora oggi: “Un atteggiamento che definirei isterico se non fosse che anche questa parola deriva da utero (dal greco Hysteron ndr). Per esempio se si dice cameriera si può dire anche ingegnera e se si dice maestra anche ministra. Se la cameriera si fa chiamare cameriere tutti ridono. Ripescare le donne che hanno fatto la differenza è utile ma è un modo timido di affrontare le cose: è necessario rivedere i canoni disciplinari, affrontare di petto la situazione. Abbiamo superato il razzismo ma non il sessismo”.

La presentazione della ricerca

Meno dinamite più lavatrice

E piovono altri esempi impattanti: “Per i libri di storia più persone uccidi meglio è: ti danno più spazio. Si parla di dinamite e non di lavatrice che ha agevolato la vita a tutti. Per la possibilità del cognome materno ci è voluto tantissimo, perché? Tengo una creatura nella pancia per nove mesi ma prende il nome di un altro, pure l’etimologia di matrimonio fa riflettere, un patto di potere con la donna vista come madre”. Graziella Priulla si esprime con parole semplici ma sferzanti, capaci di catturare gli ascoltatori che la applaudono con convinzione. Eppure non sempre è così: “Spesso non mi fanno fare questi discorsi perché divisivi. In un gioco all’asilo ho fatto scegliere ai bimbi il colore del grembiule, liberi di non optare per il rosa o il blu, ma sono stata criticata”. Dopo Priulla interviene il sociologo Massimiliano Panarari che reclama la necessità di una solidarietà intergenerazionale. Prima di parlare si guarda i vestiti: “Hai ragione Graziella, guarda cosa ho indossato”. Giacca blu e camicia azzurra.

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