di LAURA NASALI
URBINO – In una lettera scritta anni fa alla sua ex direttrice Daniela Hamaui, Serena Danna, vicedirettrice del quotidiano online Open, affronta parla della difficoltà di essere una donna al potere nel mondo del giornalismo, dove i piani alti sono sempre stati e continuano ad essere occupati prevalentemente da uomini.
Quella lettera, Danna l’ha letta oggi intervenendo al Festival del giornalismo culturale nel panel dal titolo ‘Carta e tv; le giornaliste’, insieme alle colleghe Annalisa Bruchi, Lorenza Ghidini e Angela Mauro e al professor Giovanni Boccia Artieri.
Danna racconta: “Avevo scoperto da poco quanto avere delle responsabilità significasse muoversi in un campo di battaglia sempre acceso. Quando lavori ai vertici di un’azienda, quando sei il vertice di un’azienda, impari a muoverti tra decine di cecchini invisibili e mascherati e a saper riconoscere eventuali mandanti. Impari a elaborare le migliori strategie per non farti uccidere”.
Abbattere gli stereotipi
Una giovane che si affaccia al mondo del giornalismo si trova a fare i conti con tutta una serie di stereotipi derivati da una cultura patriarcale, spesso difficile da estirpare. È questo il pensiero comune espresso nella Sala del Trono di Palazzo Ducale di Urbino.
Se sei giovane in questo lavoro, i colleghi si aspettano che tu ti vesta in un certo modo. Se sei giovane e donna, ti si dà la possibilità di occuparti solo di determinati temi: è questa la testimonianza di Danna.
Sono tante le giornaliste che fanno oggi questo mestiere in Italia, ma sono davvero poche quelle che sono già riuscite ad arrivare in vetta. “Si fa ancora molto fatica ad avere delle leadership diverse da quelle tradizionali in questo tipo di industria” continua Danna, mentre racconta la sua esperienza ventennale in alcuni dei principali giornali italiani.
Dello stesso avviso anche Lorenza Ghidini, prima direttrice donna in 50 anni di Radio Popolare e oggi un punto di riferimento nel panorama radiofonico. Tante le accortezze suggerite da Ghidini, che punta a un tipo di giornalismo più attento a dare voce alle figure femminili.
“Il mio obiettivo è quello di ragionare con le mie colleghe donne, pensare a una maggiore conciliazione del tempo di lavoro con quello privato e di stare sempre attenta a bilanciare interlocutore e interlocutrici nel mio programma”. La direttrice di Radio Popolare spiega che in mancanza di voci femminili il messaggio che passa è che non ci siano donne competenti. Lo scopo è quindi quello di abbattere l’idea che le donne non possano parlare di qualsiasi cosa.
Vecchie e nuove generazioni
Anche l’approccio al divario di genere è cambiato radicalmente nel corso degli anni. Nel giornalismo oggi si scontrano due scuole di pensiero, che il professor Boccia Artieri individua così: la vecchia e la nuova generazione di professionisti dell’informazione.
“I giovani hanno maggiore sensibilità su questo tema, soprattutto quando si parla di tematiche di genere. I più adulti invece per la maggioranza sono convinti che tanta attenzione sia una esagerazione e un modo di seguire una moda momentanea” spiega il sociologo, la cui analisi è largamente condivisa dal panel.
Anche il modo di avvicinarsi alla professione giornalistica è cambiato, al punto di rinunciare, come raccontano Danna e Angela Mauro, corrispondente da Bruxelles di Huffington Post, al lavoro di cronista pur di difendere le proprie convinzioni e i propri diritti. “I giovani, pur di non sottostare a certe regole ormai vecchie, cambiano piuttosto lavoro nonostante conservino un’autentica passione per questo mestiere”.
In questo quadro, Annalisa Bruchi, giornalista e conduttrice Rai, ha detto di considerarsi un po’ “un’eccezione”, avendo sempre lavorato in ambienti prevalentemente femminili e non avendo quindi mai avvertito la sensazione di essere discriminata “in quanto donna”.