FgCult 2024 – In documenti poco studiati la storia delle donne. “I libri di scuola che innovano troppo fanno crollare le certezze”

di ANNALISA GODI

URBINO – Documenti poco studiati, poco conosciuti e mai riportati nei libri di storia forniscono una narrazione molto diversa da quella tradizionale, riportata dalle fonti maschili. Ecco, su questi documenti si basa la storia delle donne nell’antichità (e non solo).

“Noi abbiamo una visione tralatizia – cioè, tramandata dalla tradizione, ndr – della cultura – commenta Laura Pepe, docente di diritto greco all’Università Statale di Milano – e tutti i libri di scuola che innovano troppo fanno crollare le certezze. Per esempio, di Saffo sappiamo che aveva un tiaso e qui insegnava alle sue allieve l’arte della seduzione: non è vero, lei non lo dice nelle sue poesie ed è una notizia che ci arriva dal X secolo”. Ben sedici secoli dopo.

Le donne hanno ricoperto un ruolo non da poco nel mondo antico, basti pensare ad Aspasia, Olimpiade, Arsinoe, Cleopatra, Livia, Agrippina, Plotina e tante altre. Ma ancora nella letteratura e nel mito Saffo, Medea, Fedra e Lisistrata. L’elenco potrebbe andare avanti per pagine e pagine.

Ma le fonti scritte e tramandate dagli uomini le relegano ai margini e ne fanno un racconto incentrato sulla sessualità e sulla ‘pochezza intellettuale’, a tal punto da risultare misogino. Anzi, per Tucidide era meglio se delle donne non si parlava, né bene né male.

“Sicuramente ciò che ha scritto Tucidide è stato ignorato sia dentro casa sua, sia fuori – commenta Flavia Frisone, docente di storia greca dell’Università del Salento – Invece nell’Ottocento è stato preso in parola e gli storici dell’epoca hanno fatto scomparire le donne dai loro studi”.

L’opinione delle donne e il riconoscimento del loro sapere

“L’opinione delle donne contava moltissimo – spiega Pepe – e la esprimevano attraverso i propri mariti, che erano cittadini a pieno titolo”.

Prendiamo ad esempio l’orazione di Demostene Contro Neera, una prostituta di Corinto. Dopo essere stata liberata aveva illecitamente sposato un cittadino ateniese. Nell’arringa finale ai giudici viene detto di ‘votare bene’ perché se avessero assolto quella ‘donnaccia’ avrebbero dovuto spiegare alle loro mogli che il loro status di donne ateniesi – cioè figlie di uomini che avevano la cittadinanza di Atene – non contava nulla.

Alle donne però si riconoscevano dei ruoli, in particolare quello della cura: “Ma nelle fonti non vi è un’attribuzione di un sapere, di una conoscenza ‘scientifica’ della cura – sostiene Frisone -, sebbene ci siano numerose testimonianze, in particolare epigrafiche, in cui alcune si definiscono ‘medichesse'”.

Nella loro epoca queste figure femminili hanno saputo prendersi dello spazio, malgrado la mancanza di un vero potere politico e una narrazione che le voleva relegate in un mondo oscuro.

Mito e tragedia. Il luogo della complessità femminile

Lo spazio hanno saputo prenderselo anche nel mito da cui attinge la tragedia, contraddistinta da un carattere complesso, conflittuale e contraddittorio. Questo genere letterario ha consentito di sviluppare dialoghi – ma soprattutto monologhi – di eroine tragiche come Medea, Antigone e Fedra.

“Le donne del mito lo sono fino ad un certo punto, incarnano dei valori che sono storici – spiega Pepe -. Euripide mette in bocca a Medea delle parole in cui le donne dell’epoca si sarebbero potute riconoscere”.

Arrivando a parlare della condizione di una certa fascia di donne, quella più alta, costrette a ‘comprarsi un padrone della loro persona’, guardare ‘soltanto al nostro uomo’, senza ‘grandi spazi’.

Medea però compie un gesto disperato, per il quale passerà alla storia e da cui non potrà redimersi, ovvero l’infanticidio dei figli avuti da Giasone, il marito che ha deciso di lasciarla per un’altra donna.

Questo episodio ci dice di più del diritto del mondo greco: i figli non sono di Medea ma di Giasone, in quanto la donna era vista come ‘colei che dà il suo ventre come se fosse un vaso dove si getta il seme’.

“Medea decide di ribellarsi togliendo la vita ai suoi stessi figli – commenta Pepe -. Un gesto rivoluzionario, una donna che non accetta di essere succube delle decisioni del marito e per questo gli toglie la cosa più preziosa che ha, con una sofferenza incredibile e indicibile che le attanaglia le viscere”.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi