di CARLA IALENTI
URBINO – Nella Sala del Trono di Palazzo Ducale, in alto, c’è il marchio di Federico da Montefeltro: “Fe Dux” . Un condottiero, un duca che ha saputo sfruttare la comunicazione senza Internet né social. Questa sera, in quella sala, 500 anni dopo, c’è chi della comunicazione ha fatto il proprio mestiere: è Flavia Trupia, comunicatrice e fondatrice di perlaretorica.it, ospite della prima serata del Festival del giornalismo culturale 2024.
Trupia esordisce con “I have a dream”, il discorso di Martin Luther King, fatto di metafore, anafore e sineddochi. Mentre lo pronuncia, indossa una giacca con paillettes dorate: brilla come la retorica fa brillare le parole e i discorsi. Il pubblico è tutto suo.
Nonostante l’ora e la pioggia, la Sala del Trono è mezza piena. Sugli schienali delle sedie tanti i trench e i cappotti bagnati, e il pavimento è una distesa di ombrelli. Un uomo seduto in seconda fila inciampa e ride di sé con la donna accanto a lui. Un turista catalano con un impermeabile arancione s’aggira per la sala a bocca aperta: è stupefatto per la grandezza della stanza.
La retorica: un alleato per le donne
Per il tema di quest’anno “Lo sguardo femminile nel giornalismo culturale” la retorica è fondamentale, necessaria. E addirittura l’arte di persuadere esce dai libri ingialliti su Cicerone e diventa strumento per superare anche il divario di genere. “Basta stare dietro alle quinte – esorta Trupia -: dobbiamo prenderci la responsabilità di parlare in pubblico! Altrimenti nessuno ci noterà e guadagneremo sempre meno degli uomini. E la retorica in questo ci aiuta” aggiunge.
La gestualità per una comunicazione efficace
Trupia, intervistata da Giorgio Zanchini, co-direttore del Festival, riesce con difficoltà a stare seduta. L’arte della persuasione la fa alzare più volte per mostrare al pubblico la gestualità, la postura e le espressioni del viso che rendono un discorso efficace o disastroso.
“Mussolini usava la retorica: studiava la postura e le espressioni – dice imitando le pose del Duce – Metteva le mani alla cintura, era di profilo e con le labbra di fuori. E così diventò un’icona”. I dittatori hanno fatto tutti uso della retorica. E hanno fatto breccia nel popolo, perché il popolo non conosceva quell’arte e si faceva abbindolare dai loro discorsi. “La retorica è anche un vaccino: riconoscere i discorsi che ne fanno uso con intenti negativi, ci aiuta a non cascarci” aveva detto al Ducato in un’intervista.
Spontaneità non significa improvvisazione
Corpo e mente collaborano nei discorsi retorici. “Il bravo oratore è quello che prepara il discorso, non quello che improvvisa – dice Trupia – la spontaneità è un punto d’arrivo”. Improvvisare, infatti, è rischioso: l’errore è dietro l’angolo. “Il discorso efficace non è quello improvvisato, ma quello preparato talmente bene da sembrare spontaneo”.
La retorica in politica: un’arte nelle corde di alcuni
Pur essendo utile a convincere le masse, “la retorica non è una materia che i politici studiano” dice Trupia. Ma c’è qualche eccezione. È Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. L’attore Giacomo Giuggioli, in arte Jack Giuggioli, legge e interpreta il discorso del governatore, trasmesso in diretta Facebook nel 2020, durante il lockdown. “Mi è giunta voce che c’è gente che vuole organizzare la festa di laurea. Chi vuole esser lieto, sia – dice citando un verso della Canzona di Bacco scritta da Lorenzo De’ Medici – e poi se ne va all’ospedale” dice l’attore imitando la cadenza campana e la voce grossa di De Luca. Trupia definisce il presidente come “il numero uno per l’uso delle pause e delle iperboli”: “Quando parla del lanciafiamme ce lo fa immaginare”. E l’immaginazione imprime nella mente le parole.
L’emozione che fa sbagliare: da errore a vantaggio
Pur non improvvisando, però, si può sbagliare ugualmente un discorso in pubblico. Ma, mentre l’improvvisazione è quasi sempre nemica dei discorsi efficaci, l’emotività che a volte ci toglie le parole o ci fa dimenticare quelle giuste può diventare un punto a nostro favore. “Anche i migliori possono emozionarsi e sbagliare, ma possiamo trasformare l’errore in una connessione col pubblico” dice Trupia. “Ad esempio se non riusciamo a pronunciare una parola possiamo dire: ‘l’ho pronunciata mille volte, ma non mi riesce mai'”. Sicuramente il risultato sarà migliore di chi non si perde una parola leggendo dai fogli “con una noiosissima cantilena” o “peggio ancora dallo smartphone” che “tolgono il contatto visivo con il pubblico”.