di CARLA IALENTI
URBINO – Michela Matteoli, direttrice dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e ospite dell’ultima giornata del Festival del giornalismo culturale 2024, ha uno sguardo non solo femminile e femminista, ma soprattutto scientifico. A Palazzo Ducale la scienziata propone una lectio sul cervello umano, oggetto dei suoi studi. Lo scopo è quello di abbattere gli stereotipi di genere, gli stessi per cui spesso ai ruoli apicali si preferiscono uomini a donne.
Slide dopo slide la conclusione è chiara: “Possiamo finalmente smettere di parlare di cervello maschile e cervello femminile? – chiede Matteoli, riprendendo un titolo del New York Times -. La risposta è sì, dobbiamo farlo”. Il motivo? “Il cervello è plastico. Dire che le donne sono più empatiche e gli uomini più decisi significa che hanno cervelli diversi. Ma è la cultura che ci ingabbia negli stereotipi”.
Il cervello plastico si adatta al cambiamento
Dunque, il cervello è plastico. A dirla così, sembra un riferimento alle microplastiche presenti ovunque, che i ricercatori hanno trovato di recente nel nostro cervello. “Plastico” non pare significare nulla di buono in tempi in cui la plastica inquina oceani, causa la morte di miliardi di animali ogni anno ed è tra i principali rifiuti nelle nostre discariche. Ma il termine ha un significato neutro, come neutro è il cervello. Significa adattabile. Ed è proprio così che è il nostro cervello, capace di cambiare, di modificarsi nel corso della vita e non si distingue, come fosse un organo genitale, in maschile o femminile.
Donna emotiva e uomo deciso? La risposta della scienza
Michela Matteoli abbatte i pregiudizi con la scienza. Anzi la scienza smentisce la scienza stessa. Perché la ricerca scientifica non dà risposte univoche: “la scienza risponde a domande” che “possono anche essere diverse, senza sminuire la scienza stessa” come ricorda Roberta Villa, giornalista laureata in medicina e moderatrice dell’incontro “Le scienziate. Una divulgazione possibile”.
Matteoli dice che “fino a dieci anni fa l’idea generale era che il cervello della donna fosse migliore per l’empatia e la comunicazione, quello dell’uomo per la comprensione e la costruzione di sistemi. Una ricerca ha rafforzato la credenza secondo cui le donne sono emotive e gli uomini decisi. Lo studio condotto su persone dagli 8 ai 22 anni ha scoperto che donna e uomo non hanno lo stesso cervello”. Secondo la ricerca “le differenze di sesso nel comportamento umano mostrano complementarietà adattiva: i maschi hanno migliori capacità motorie e spaziali, mentre le femmine hanno capacità di memoria e cognizione sociale superiori”.
Ma Matteoli sottolinea l’errore: “Che lo studio sia stato condotto su maschi e femmine dagli 8 ai 22 anni è significativo, perché in quella fascia d’età le differenze sono più marcate”, ma non basta per dire che esiste un cervello maschile diverso da quello femminile.
Ma la ricerca fu smentita da un’altra ricerca secondo cui “il cervello umano è un mosaico di tratti della personalità” e “il cervello umano è un continuum tra maschio e femmina” dice Matteoli. “Sebbene vi siano differenze di sesso/genere nel cervello e nel comportamento, gli esseri umani e i cervelli umani sono composti da “mosaici” unici di caratteristiche”. E infine “I cervelli umani non possono essere categorizzati in due classi distinte: cervello maschile/cervello femminile”. Caso risolto, forse.
Stereotipi e carriera: donne al comando? No, grazie
Credere che l’uomo sia più deciso influisce sulla scelta dei ruoli apicali. Matteoli mostra i dati secondo cui sia nelle aziende che nelle università fanno carriera soprattutto gli uomini. Secondo l’Equality gender index 2021 di Bloomberg “La percentuale di donne nel ruolo di Amministratore/amministratrice delegato è solo del 5%”. Non molto diversa la situazione nelle università. “In Europa quasi l’80% dei professori ordinari è composto da uomini“. Matteoli, però, sottolinea che l’Italia nella classifica sulla parità di genere nel mondo accademico è nel mezzo rispetto agli altri Paesi europei.
Le quote rosa: una possibile soluzione
In una società in cui le donne non riescono a fare carriera, perché troppo spesso costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, le quote rosa potrebbero aiutare a raggiungere la parità dei sessi. “Anni fa ero contraria alle quote rosa. Pensavo: ‘Conta il merito, non il genere’ – dice Matteoli -. Ma i dati dicono che senza una strategia, la parità si raggiungerà tra 80-100 anni. Per cui ho cambiato idea. Il cambiamento è lento, occorre trovare soluzioni per raggiungere la parità di genere”.