di MARTINA TOMAT
URBINO – La passione instancabile per la ricerca e un amore per la didattica che lo porta perfino a lasciare ai suoi allievi il numero di telefono. Sono solo alcuni dei tratti distintivi di Vilberto Stocchi, biochimico e rettore dell’Università di Urbino dal 2014 al 2020, ora al vertice dell’Università telematica San Raffaele di Roma. Nella città ducale Stocchi, nato ad Apecchio nel 1954, è entrato come studente 50 anni fa. Qui per lui tutto è iniziato, perfino la procedura per la nomina a Cavaliere di Gran Croce, assegnatogli per le sue elevate qualità personali e professionali.
Un turbinio di emozioni
La notizia della massima onorificenza Stocchi, già Gran ufficiale dal 2017, l’ha ricevuta con orgoglio in anteprima, mercoledì, da una lettera del prefetto di Pesaro – Urbino Emanuela Saverio Greco. Ma l’emozione più potente l’ha travolto solo qualche giorno dopo: “Sabato mi stavo recando in stazione a Fabriano per andare a Roma con la famiglia e un amico mi invia la Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 2024 con le nomine conferite dal presidente della Repubblica Mattarella e dalla presidente del Consiglio Meloni – racconta al Ducato con tono intriso di felicità e sorpresa – Poi la domenica mattina alle 7 un altro amico mi manda uno screenshot su WhatsApp di un articolo del Corriere della Sera, non me l’aspettavo. Ho visto anche un intervento su RaiNews 24 sugli otto nuovi Cavalieri di Gran Croce”. La nomina è stata ricevuta infatti anche da Rosa Castaldo, Federico Silvio Toniato, Paolo Crisafi, Francesco Paolo Figliuolo, Emanuele Bettini, Silvio Salini e Maria Franca Fissolo.
Galeotta fu Urbino
Un’onorificenza che ha le sue radici proprio a Urbino: “Nel 2020, durante la cerimonia di chiusura del mio rettorato, dove ho fatto un discorso con la mascherina per via del covid, il prefetto Vittorio Lapolla è rimasto colpito, ha apprezzato l’operato dei miei sei anni: mi ha chiesto il curriculum e ha avviato la procedura per la nomina. Quelli di Urbino sono stati anni di grazia, animati da un grande lavoro di squadra che coinvolgeva tutti, anche il personale tecnico amministrativo, peccato che si siano conclusi con la pandemia. Anche se siamo stati una delle prime università ad attivare i collegamenti in didattica a distanza (dad), ben 15.000. ln quel periodo ho imparato ad apprezzare tante cose, anche quelle che non mi aspettavo: la mia sede nel periodo dei lavori per il nuovo rettorato a Palazzo Bonaventura era Palazzo Passionei: lì la mattina entrava una luce meravigliosa, tutti rimanevano incantati. Anche questo tassello compone quel periodo di grazia”.
‘Nozze d’oro’ con l’Uniurb
Ma il rettorato è solo lo scalino più alto del percorso all’Università di Urbino di Stocchi: “Sono entrato nel 1974, 50 anni fa, alla facoltà di Farmacia avevano bisogno di un perito chimico e il preside dell’Istituto tecnico industriale Enrico Mattei di Urbino mi chiamò perché mi ero distinto nel mio percorso di studi. Subito incontrai il mio maestro, Giorgio Fornaini, e mi iscrissi all’Università”.
E tre anni e mezzo dopo arriva la laurea: “Avevo dieci ore di laboratorio al giorno all’istituto di chimica biologica, studiavo la notte fino alle 2 e ricominciavo la mattina alle 5, lo facevo senza sforzo perché quando ami quello che fai non pesa mai. A 26 anni ho avuto la fortuna di diventare professore associato di biologia molecolare e a 33 professore ordinario di biochimica. Quindi anche qui devo solo esprimere gratitudine. Dopo tanti anni sono stato il primo rettore dell’area scientifica”.
Avvicinare la verità e l’America
A fare da stella polare al suo cammino la passione trainante per la ricerca: “La verità non la possiamo possedere ma attraverso il metodo scientifico riusciamo a comprendere meglio il mondo che ci circonda. Succede tutte le volte in cui è possibile sviluppare qualcosa che altri non conoscono, dimostrandolo anche a livello internazionale. Come nelle mie oltre 550 pubblicazioni scientifiche”. E una delle prime metodologie sviluppate da Stocchi nel 1987 lo porta in America: “Mi invitarono negli Stati Uniti, la prima volta rimasi 4 mesi in Pennsylvania. Questa metodologia per la quale fui invitato lì per la prima volta, oggi, a distanza di 40 anni, non è stata superata né in sensibilità né in rapidità ed è utilizzata da tutti i biochimici e biologi molecolari”.
“Troppa competizione e meno rapporti umani”
Un contributo prezioso e all’avanguardia, quello di Stocchi, utilissimo per sondare lo stato di salute delle cellule. Gli americani non vogliono lasciarselo scappare e ne nasce un’intensa e prolifica collaborazione. Dura 15 anni, fino al 2002: “Tre o quattro volte all’anno tornavo lì dai dieci giorni a un mese. Conosco meglio le città americane che quelle europee. San Francisco, San Diego, Los Angeles, Las Vegas, Chicago, Boston, New York, Harrisburg, Pittsburgh”.
Un legame forte e tanti ricordi che si inseguono, ma il rettore della San Raffaele non ha dubbi, in America non vorrebbe viverci: “Secondo me l’individuo lì è molto solo. C’è molta competizione. Ogni anno visitavo diversi laboratori e i responsabili cambiavano di continuo. Si cambia posizione e ci si muove molto più rispetto all’Italia. I rapporti umani vengono trascurati, anche la famiglia”.
La semplicità della divulgazione
Il racconto di Stocchi è un fiume di parole che scorre lento. Ogni concetto è raccontato con entusiasmo e cura, senza guardare l’orologio. Trapela, evidente, il suo amore strabordante per la divulgazione. E puntuale, ne arriva la conferma: “Ho sempre ritenuto privilegiato il rapporto con i miei allievi. A Urbino ho continuato a tenere due corsi anche da rettore. Ho sempre dato il numero di telefono agli studenti tra la sorpresa generale. Voglio chiarire i loro dubbi. Il mio obiettivo è trasmettere un concetto in modo chiaro e semplice”.
E su questo fronte il metodo americano gli è tornato utile: “I testi dei professori americani sono molto chiari e lineari permettendo gradualmente di salire nella complessità”. Anche se il primo incontro con questo approccio è arrivato a Urbino, da appena laureato: “Fornaini chiedeva a noi allievi di fare lezione, non sapevamo che argomento avremmo dovuto trattare. A me capitò la cinetica enzimatica, non la riuscivo a comprendere bene. Mi ha aiutato un libro che avevamo in biblioteca di Irwin Segel, dell’Università della California, semplice più che mai. In America poi ho consolidato questo metodo utilissimo per presentare in maniera più chiara e comprensibile i risultati di una ricerca”.
Ora Stocchi, nonostante il grande cammino già sostenuto, punta ancora al futuro e al divulgare il più possibile le sue ultime ricerche che hanno portato a scoprire ulteriori benefici dello sport (ricerche sulle modificazioni metaboliche indotte dall’esercizio fisico) e della dieta (studi sulla qualità del microbiota) per la prevenzione delle malattie. Di questi argomenti parla al Ducato a lungo: “Ma se volete – conclude gentile – posso raccontarvi tutti i dettagli a lezione”.