Videochiamate e soldi per viveri e medicine, il filo che unisce Gallo a Gaza

Di ANDREA BOCCHINI

URBINO – I chilometri che separano Gallo di Petriano da Gaza sono oltre duemila ma a Giulia (nome di fantasia) – 38 anni, artigiana e residente nel piccolo comune in provincia di Pesaro e Urbino – non importa. Il suo telefono, quando la connessione lo permette, è in chiamata con Khaled, 23 anni, palestinese, sposato con Faten (anche lei 23enne) e padre di una bambina di nome Nay, di circa 9 mesi, nata in piena guerra. Giulia, che preferisce mantenere l’anonimato perché ha “ricevuto minacce di morte sui social”, racconta al Ducato di aver conosciuto Khaled attraverso Instagram. Non solo. Per lui (e la sua famiglia) ha aperto una raccolta fondi. L’obiettivo è quello di fargli lasciare Gaza. Un’amicizia, quella con Khaled, iniziata con dei semplici messaggi su Whatsapp. Dai messaggi si è poi passati alle videochiamate. È nato così un legame più profondo. “Per Khaled e la sua famiglia sapere che ci siano persone che si preoccupano e si affezionano è fondamentale per non perdere la speranza”.

Da Amjad a Khaled

Dopo il 7 ottobre dello scorso anno, Giulia inizia a interessarsi a quello che stava accadendo nella Striscia. “Seguivo sui social i giornalisti palestinesi che riportavano immagini terrificanti e lasciavo sotto ai loro post qualche commento di solidarietà. Verso fine febbraio 2024 ho ricevuto un messaggio da un ragazzo di Gaza”. Si tratta di Amjad, “un giovane farmacista che si è ritrovato a vivere sfollato in un garage a Rafah, con altre 14 persone – continua Giulia – dormivano per terra, non avevano cibo. Attraverso lui ho saputo che a Gaza si stavano organizzando raccolte fondi per chiedere aiuto”. E la piattaforma è quella di Gofundme.

Khaled e sua figlia Nay

Giulia, inizialmente scettica ha poi iniziato “a ricevere foto e video che mi hanno eliminato ogni dubbio”, dice al Ducato. Non solo. Amjad si è riuscito a salvare: “Ha raccolto i soldi sufficienti per pagare la sua uscita verso l’Egitto dove si trova tuttora con la sua famiglia”. Sul confine, infatti, l’unica uscita da Gaza è rappresentata dal valico di Rafah chiuso, però, dall’esercito israeliano il 6 maggio scorso. “I palestinesi potevano richiedere di evacuare a un’agenzia egiziana (Hala), ma le cifre erano folli: si parlava di cinquemila o settemila dollari per adulto, 2500 circa per i bambini”.

“L’incontro” con Khaled

Poi è arrivato il messaggio di Khaled. “È stato uno dei primi a scrivermi – spiega Giulia – era disperato e non sapeva come aprire una raccolta fondi per lui e la sua famiglia”. Ma il giovane non voleva lasciare la sua Gaza: “Desiderava solo qualche donazione per garantire cibo a sua moglie e pannolini e latte per la piccola. All’inizio mi ha chiesto solo 20 euro”. Iniziano le videochiamate: “Dovevo essere sicura di quello che mi raccontava – racconta Giulia – mi ha mostrato la sua tenda, il campo profughi dove era sfollato, la sua bambina e gli edifici ridotti in macerie”. Immagini strazianti che Giulia fa fatica a raccontarci ma che le fanno anche capire che “occorreva fare qualcosa”: “Insieme a un’altra ragazza lo abbiamo aiutato ad aprire una raccolta fondi. Sperava di mettere in salvo sua moglie Faten e la sua bambina. Aveva anche ottenuto la cifra necessaria per entrare in Egitto ed era stato inserito in lista d’attesa a fine aprile”. Ma nulla: il valico è stato chiuso prima. E quel denaro? “Khaled lo sta usando per comprare cibo e medicine ma è anche in attesa che il valico si riapra per poter evacuare”.

Le chiamate, i racconti, e quella scritta sulla sabbia

Quel filo che unisce Gallo a Gaza resta attivo. “Ci sentiamo quando possibile. A volte sento Khaled, altre volte sua moglie Faten – aggiunge Giulia – il suo inglese è stentato e in arabo capisco solo qualche parola”. I racconti, però, preferiscono farli per messaggio “con l’aiuto del traduttore per facilitare la comunicazione”. Ma la connessione non aiuta: “C’è chi riesce a comunicare attraverso delle eSim, altri riescono a raggiungere degli Internet point” distanti chilometri. “Khaled si è dovuto spostare più volte da un punto all’altro della Striscia nel corso di quest’anno. Ora si trova ad abitare in una tenda a Khan Younis, non molto distante da quella che era la sua casa che, dopo i bombardamenti israeliani, è ridotta a un cumulo di macerie. Spesso torna lì a piangere”.

La casa di Khaled ridotta un cumulo di macerie

Gli occhi di Khaled parlano

Grazie a Giulia, il Ducato è riuscito a contattare Khaled. Lo videochiamiamo su Whatsapp. Ci sorride ma quando iniziamo a parlare in inglese, chiude la chiamata. In chat risponde: “Non so parlare in inglese”. Ci affidiamo al traduttore e Khaled, più a suo agio, si apre e racconta: “La situazione a Gaza è terribile. Siamo vittime di un genocidio e stiamo morendo di fame”. Sulla raccolta fondi aperta per la sua famiglia, invece, aggiunge: “Sto ricevendo molti soldi per riuscire a viaggiare verso l’Egitto, mentre un’altra parte sono per comprare cibo, acqua per me e mia moglie e soprattutto latte per nostra figlia”. Ci invia altri messaggi: “Mia figlia sta crescendo e io non ho niente con cui sfamarla”. Poi le parole di affetto e gratitudine per Giulia e per l’Italia: “Giulia è una persona fantastica, mi sta aiutando tantissimo. Conosco dove abita e un giorno spero di incontrarla di persona”. E concludendo: “Io spero che questi messaggi possano arrivare al popolo italiano. Aiutatemi a lasciare Gaza”.

La tenda dove Khaled vive con la sua famiglia

Un incontro che Giulia spera possa arrivare presto. “Sogniamo il giorno in cui saranno liberi e potremo vederci”. E cosa farebbe visitare a Khaled?: “Li porterei a Pesaro perché appartengono a un popolo estremamente legato al mare. Quando ci videochiamiamo mi fa vedere il mare di Khan Younis che continua a essere bellissimo in contrasto con la distruzione della guerra e la morte che stanno vivendo. Un giorno ha scritto il mio nome sulla sabbia per farmi essere lì con lui”. Ma non solo Pesaro. “Li porterei anche a Urbino che è una cittadina affascinante e così diversa da dove sono nati e cresciuti – continua – e poi anche una visita a Riceci che per me è un luogo che significa molto da quando andavo da ragazzina a vedere i tramonti”.

L’impegno di Giulia: Khaled non è il solo

“Sono in contatto anche con un’altra famiglia – continua Giulia – quella di Samah a cui sono ancora più legata e che sento ogni giorno. Anche per loro ho aperto una raccolta fondi“. Ma in realtà, le famiglie che segue sono molte di più, circa una decina: “Troppe per me sola, ho dovuto purtroppo scegliere chi aiutare. Con alcune amiche abbiamo creato un’iniziativa: Creativə per Gaza“. Attraverso il sito si possono fare donazioni con cui – Giulia specifica – “le famiglie riescono a sopravvivere comprando medicine e cibo”. E la risposta da Gaza è immediata: “Mi scrivono felici per ringraziarmi, mi mandano foto e video in cui mi mostrano quello che sono riusciti a comprare”.

Khaled sopra le macerie di quella che una volta era la sua casa

Non solo la Palestina

Una solidarietà, quella di Giulia, che si era manifestata anche per i cittadini ucraini arrivati a Gallo nel marzo 2022 dopo lo scoppio della guerra. “Arrivò una famiglia composta da quattro persone (madre, padre, due figli e con loro una nipote e un’amica). Portai loro lenzuola e vestiti”. Ma ora Giulia non riesce a capire il diverso atteggiamento nei confronti della Palestina: “Ho vissuto un’enorme angoscia nel vedere la differenza epocale di come erano stati trattati gli ucraini e di quello che ora devono passare i palestinesi. Sono abbandonati a loro stessi”. E concludendo: “Vedo tanta gente che dice ‘cosa possiamo fare?’. La mia risposta? Possiamo davvero fare tanto anche da una piccola cittadina come Gallo”.

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