di MARIA CONCETTA VALENTE
URBINO – Per ripercorrere la storia della cooperativa agricola Girolomoni dobbiamo tornare indietro agli anni Settanta del secolo scorso, in un monastero diroccato sulle colline delle Cesane, a Isola del Piano. Nel 1971 Gino Girolomoni e sua moglie Tullia Romani si trasferirono nell’unica stanza agibile all’interno del rudere, dando inizio così alla loro avventura. A distanza di 50 anni, a settembre, i loro figli Giovanni e Maria sono stati premiati a Bruxelles per la categoria “migliore piccola e media impresa per la trasformazione di alimenti biologici in Europa”. Una storia nata dal sogno di papà Gino: restituire dignità alla terra e ai contadini. Da allora, i suoi successori lavorano affinché questo sogno sia il seme di una nuova economia realmente sostenibile.
Un movimento culturale alle origini della pasta
“Mio padre e mia madre, insieme con i giovani del paese, iniziarono ad interrogarsi sul perché tutti se ne stessero andando da queste terre”, racconta al Ducato Giovanni Girolomoni, presidente della cooperativa. Nel farlo coinvolsero filosofi, pensatori, scrittori, ecologisti e pacifisti, dando vita a un vero e proprio movimento culturale. “La campagna con tutti i suoi valori era considerata superata. Mio padre però capì che valeva la pena conservarne determinati princìpi come la parola data, la solidarietà quotidiana, il non produrre rifiuti e il non avvelenare la terra”, continua Giovanni.
Da quei princìpi allora si ripartì e grazie all’incontro con Ivo Totti, alle origini del movimento biologico in Italia, capirono come coniugare la tradizione con l’innovazione. “Il biologico si rifaceva alle tecniche agronomiche del passato ma allo stesso tempo aveva una visione innovativa di futuro”, spiega Giovanni. Un modo nuovo di produrre, in un momento in cui prevaleva la mentalità industriale anche in agricoltura, basata sull’uso massiccio della chimica di sintesi in ogni fase, da quella agricola a quella di trasformazione e poi conservazione dei prodotti. “Spesso nostro padre viene definito ‘l’araldo del bio’, colui che ha fatto qualcosa non solo per sé stesso ma con l’obiettivo di diffonderlo, perché aveva capito che era la via per coniugare varie necessità: rispondere alla fuga dalla campagna, opportunità di reddito per gli agricoltori e un modo per tutelare la salute del pianeta e delle persone”, racconta il figlio di Gino.
Dalla pasta illegale alla filiera completa
Questa esperienza si è trasformata in un qualcosa di concreto e molto semplice: fare la pasta. “Siamo stati i primi a produrre pasta integrale partendo dal chicco macinato intero con tutte le qualità nutrizionali del grano”, spiega Giovanni. Una pasta diventata famosa anche perché “era illegale”. Oggi ci ride su, ma in quanto pionieri hanno dovuto affrontare anni di battaglie per far capire che anche quella aveva la dignità di essere chiamata “pasta”. Ufficialità arrivata solo negli anni Novanta. “Avevamo grossi problemi nella fase iniziale, anche per il fatto che la stessa definizione di ‘agricoltura biologica’ scritta sulla confezione era considerata frode al consumatore e pubblicità ingannevole”, racconta l’imprenditore.
Nell’arco di 50 anni la cooperativa è diventata filiera completa della pasta bio. Agricoltori, mugnai e pastai lavorano insieme per fare la pasta, tutta biologica: “È una cosa molto unica – riconosce Giovanni, che aggiunge – la pasta non è il fine ma il mezzo con cui cerchiamo di alimentare il sogno e la visione di papà Gino”.
Il premio a Bruxelles
Il 23 settembre la cooperativa Girolomoni ha vinto l’Eu Organic Awards, il premio promosso dalla Commissione europea per valorizzare le realtà biologiche d’eccellenza. “Per noi è stato il riconoscimento di uno sforzo che portiamo avanti da 50 anni”, dice l’imprenditore. Poi, commosso, aggiunge: “Il primo pensiero è andato ai nostri genitori che non ci sono più”. Con loro, Maria e Giovanni, hanno portato una foto ricordo di Gino e Tullia. “È stata scattata il giorno della mia laurea a Urbino. Hanno gli occhi lucidi e pieni d’orgoglio. Quell’orgoglio che oggi si estende a tutti coloro che hanno contribuito a rendere questa collina da luogo impervio e abbandonato a un simbolo del biologico in Europa”.
Il mulino e la nuova vita del monastero
Con la costruzione del mulino nel 2019 Girolomoni è ufficialmente una filiera chiusa. Al suo interno ci accompagna Fabio Baldelli, uno dei mugnai. Qui viene lavorata la materia prima, il grano e i vari cereali, in quattro fasi: pulitura, bagnatura e condizionamento, macinatura e setacciamento. “Il cereale viene pulito da tutte le impurità come sassi, terra e paglia. Poi viene bagnato e resta a riposto per circa otto ore, passa attraverso una selezionatrice ottica ed è pronto per essere macinato e setacciato fino ad arrivare alla semola, al prodotto finito”, ci spiega Fabio.
Poi con Margherita Sartori, che si occupa dell’accoglienza, raggiungiamo il monastero, dove tutto ebbe inizio. “È il nostro simbolo”, dice con orgoglio. “Dall’alto infatti la sua pianta è a forma di Q, la stessa che rappresenta il logo arancione di Girolomoni”. Da rudere abbandonato oggi è adibito a bed and breakfast, a locanda e fattoria didattica. All’interno del monastero c’è anche un museo sull’antica civiltà contadina: “È stato fortemente voluto da Gino negli anni Settanta. Quando era sindaco di Isola del Piano ha iniziato a radunare i tanti attrezzi vecchi che tutti volevano buttare. Abbiamo allestito questa mostra per ricordare i valori e il saper fare della civiltà contadina”. L’ultima tappa è la chiesetta, piccola e intima. Non è un caso sia proprio quella. Lì oggi sono sepolti Gino e Tullia. Dove tutto è nato e continua a vivere.